Il sacrificio sul campo di un vero giornalista

Simone Camilli è morto mentre faceva il giornalista sul campo.

Questo mestiere con l’avvento di internet ha perso la sua caratteristica principale: raccontare quello che si vede con i propri occhi. Oggi non riveliamo alcun segreto se scriviamo che le fonti a cui si attinge per confezionare un articolo o un servizio televisivo non sono più quelle del mestiere tradizionale. La rete è una miniera di informazioni, i cosiddetti “social” sparsi per il mondo molte volte arrivano prima degli inviati delle agenzie di stampa e dei quotidiani online. Quante volte in questi ultimi anni ci è capitato di leggere su un giornale o ascoltare in un telegiornale che «a dare per primo la notizia è stato un tweet di…» e il nome dell’autore è quello di un semplice cittadino che ha visto e magari filmato o fotografato l’avvenimento? Giornali e Tv non si fanno più scrupoli a citare una fonte che appartiene anche alla concorrenza come un sito o un blog.

La domanda che però ci si deve porre è la seguente: tutto ciò che va in rete che selezione ha?

E poi. Che grado di credibilità ha una frase “pescata” su Facebook o su Twitter e poi stampata su un giornale online è lanciata dalle all news che invadono gli schermi dall’alba alla notte?

Al di là della mancanza di un filtro sulla veridicità della notizia è il mestiere del giornalista che si è modificato, quasi sterilizzato salvo forse quello interpretato in provincia in quanto la rete fatica ad arrivare nei piccoli comuni.

La rincorsa ai “social” si giustifica per l’enorme quantità di notizie che di minuto in minuto internet diffonde, nessuno vuole e deve restare indietro. Però la qualità di informazione che arriva al cittadino-utente non è garantita, anzi quante volte la rettifica ha ribaltato una notizia appena data?

Ecco perché il sacrificio di Simone Camilli ci deve fare riflettere, non solo sul piano umano (una tragedia per la sua famiglia), ma anche sul presente di una professione essenza della democrazia. Il video reporter caduto a Gaza era lì per vedere e raccontare una guerra, la sua era una testimonianza da trasmettere al mondo. Una presenza che si scontra, purtroppo, con un mestiere sempre più virtuale.

Nelle redazioni “comanda” il computer, inviare cronisti in giro per le città costa mentre gli introiti della pubblicità diminuiscono. E allora, anche per far quadrare i bilanci, la rete e il telefono sostituiscono i cosiddetti giornalisti da marciapiede, quelli che tanti anni fa passavano ore e ore nelle caserme, nei tribunali e al pronto soccorso alla ricerca della notizia.

Adesso invece accendi il tuo pc e – facciamo un esempio – da carabinieri, polizia, gdf e vigili del fuoco ti arrivano email a flusso continuo, corredate di foto e video. Il menù quotidiano è servito, ed è pure gratis.

Fermiamoci e chiediamoci: questo è il mestiere del giornalista?

Simone Camilli ci ha risposto no.

Alessandro Casarin

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