VARESE – Poesia per immagini. Versi fatti di pixel che immortalano il tramonto del sole tra i comignoli del borgo, oppure la terza cappella svettante tra gli alberi, elementi naturali che – ben lontani dal rovinarne la maestosità – ne accrescono la bellezza e la identificano con un luogo in cui arte e natura vanno a braccetto. Si potrebbe andare avanti all’infinito, raccontando di un panorama visto (e catturato) attraverso il buco di
una foglia, oppure della visione delle nuvole che in una mattina di novembre proteggono la pianura, immortalata dal Museo Pogliaghi.Parlare o scrivere di fotografia non riesce a riempire lo scarto con il cuore che solo gli occhi sanno colmare. Meglio allora andare sulla pagina Facebook “Il nostro Sacro Monte in fotografia” e ammirare gli scatti quotidiani di , che la montagna più cara ai varesini ce l’ha tatuata sul corpo. Letteralmente.
Interessarsi alla sua storia significa essere passati prima dalle sue foto, talmente belle da meritare una vetrina. E scoprire cosa rappresenti per lui il Sacro Monte vuol dire raccontare la sua vita, quello di un informatore farmaceutico di 44 anni che abita a Sant’Ambrogio e almeno una volta al giorno – che sia al mattino presto o al tramonto – si mangia quei cinque minuti che lo separano dalla Prima cappella e dà sfogo alla passione.
«Il Sacro Monte mi regala la pace. Mi piace camminare lungo la via delle cappelle, perdermi nei sentieri a mezza costa o nelle stradine del borgo, andare al monte San Francesco oppure salire fino al Campo dei Fiori. Ci andavo a correre quando ero ragazzo e giocavo a calcio, ora non posso più farne a meno: mi ha aiutato anche a superare momenti difficili della mia vita».
Giuseppe, negli ultimi anni, il suo infinito a portata di mano ha iniziato anche a fotografarlo: «Non sono un appassionato – ammette – Uso semplicemente il cellulare, cercando di cogliere attimi particolari: un tramonto, uno scorcio con la luce del mattino, la visione di una volpe o di un cinghiale. Ho la fortuna di abitare vicino e di andarci sempre».
Ed è così che, per esempio, è riuscito a confezionare un’immagine talmente particolare che sembra un fotomontaggio: «Fotografando dal vetro le statue che ci sono all’interno dell’undicesima cappella, ho catturato anche il riflesso della Via Sacra e dell’arco che c’è in quel punto».
Anche qui: meglio vedere che descrivere. Per Giuseppe amare il Sacro Monte significa anche trasmettere questa passione ai propri figli: «Li porto quasi sempre con me, camminiamo, ci fermiamo a mangiare qualcosa al borgo, stanno imparando a conoscere un po’ tutto, proprio come il papà. Ed entrambi sono stati battezzati al Santuario».
Serve altro per testimoniare un legame diventato indissolubile? Forse sì ed è un tatuaggio che Giuseppe porta sul braccio, raffigurante il disegno delle fondamenta del Santuario, i nomi dei suoi due bimbi e la data in cui questi ultimi sono stati battezzati. «Non capisco come faccia ad essere così sottovalutato. Perché, alla sera, la gente di Varese non lascia la città e non viene a farsi un giro? In realtà lo dico quasi sottovoce: sono contento di godermi la solitudine di questo luogo fantastico».