«Il Varese è una malattia: quella maglia è maledetta. Ti attrae a lei ineluttabilmente, come fosse fatta della stessa materia del canto delle sirene di Ulisse», ci ha detto, ieri, una persona. La stessa che pochi minuti dopo ci ha proposto l’intervista che leggerete tra poco. «Sentite Edoardo Frattini, lui è il dirigente accompagnatore della Juniores del Varese; lui ha il cuore biancorosso: lo stesso che batte nel petto di Luca Sean Sogliano».
Io andavo, di tanto in tanto, a vedere gli allenamenti dei biancorossi. Lì conobbi Giorgio Scapini. Dopo qualche volta, vedendomi sugli spalti, mi disse: «Ma perché non vieni qui a darci una mano?» Ecco, la mia storia d’amore con il Varese è iniziata così.
Sì: era il 2006. Da lì ne ho viste tante. Da lì ho visto tanti ragazzi passare dal Varese; indossare la maglia del Varese. Io ora sono un pensionato, ma lavorare con loro, passare il mio tempo con loro, mi fa stare meglio. Mi fa sentire vivo, mi fa sentire un ragazzino.
È quando non sei con loro che ti accorgi com’è. L’anno scorso, a ottobre, lasciai il Varese, per delle divergenze con la vecchia dirigenza: non mi piaceva più l’aria che si respirava. Quando Scapini, quest’estate, mi ha chiamato gli ho detto subito di sì. Perché uno a 64 anni, ha bisogno di sentirsi giovane!
Poi, sto dividendo quest’esperienza con un ragazzo che ha l’età di mia figlia: Paolo Tresoldi. Un ragazzo molto bravo professionalmente: bravo a lavorare con i bambini.
Perché non importa se un bimbo è più o meno bravo a giocare a calcio. Chi gioca è solo chi si allena, con voglia, grinta e dedizione.
Avevamo sette, o otto ragazzi del ’99. Non è che sceglievamo chi prendere: chi arrivava faceva parte del gruppo. Ma ora…
Ma ora posso dirvi che abbiamo quattro o cinque ’99 che potrebbero benissimo giocare con la prima squadra l’anno prossimo.
No, dai. Non esagerate. Io e Beppe ci siamo frequentati cinque anni: l’ho visto crescere.
De Luca ha il papà che è disabile, è in carrozzina e non poteva venire allo stadio a vederlo la domenica. La mamma, ovviamente, curava il marito e la sorella lavorava. Quindi, lui, era l’unico dei nostri ragazzi a non avere nessuno in tribuna a guardarlo. Ricordo che diceva sempre: «Da grande devo fare il calciatore per aiutare mio padre».
Era un vero talento. Faceva impazzire tutti in campo. Bettinelli lo fece diventare un titolare fisso negli Allievi Nazionali. Poi, con Antonino Criscimanni, ha avuto la svolta. Poi, con Mangia, in quella Primavera che sfiorò l’impresa esplose definitivamente. Lo volete un aneddoto su De Luca?
Una volta, alla fine del campionato, era giugno o luglio, gli Allievi di De Luca giocarono una partitella con la prima squadra. Ovviamente Beppe, in campo, fece il cinema: fece impazzire la difesa del Varese.
Io ero seduto in tribuna a guardare la partita con l’allora segretario Massimiliano Di Brogni e con Pietro Frontini. Loro due, guardando giocare De Luca dissero sbalorditi: «Ma chi è questo qui?» Non lo avevano mai visto né sentito, a parte Sogliano e Scapini che lo conoscevano benissimo. «Questo è uno che vi farà sorridere», risposi io.
Lo è sempre stato, una Zanzara, intendo. Sapete, su quel soprannome si sono spese tante parole, ma in pochi sanno come è davvero nato. Io sono tra questi: il nome glielo diede mister Bonetti, perché Beppe, quando giocava, rompeva le scatole a tutti, ed era bassino e magrolino. Ricordo che di tanto in tanto venivano gli osservatori da Genova, Milano e così via, ma nessuno lo voleva perché dicevano che era troppo piccolo di statura. Beh, si sbagliavano.
Sulle qualità di Giorgio mi sembra che non possano esserci dubbi. Lui, assieme a Sogliano, ne ha lanciati un’infinità di ragazzi talentuosi; di ragazzi che sono finiti in campionati importanti. Bisogna solo capire, ora, la società cosa intende fare del settore giovanile: noi siamo partiti, e ci siamo. Se investiranno le giuste risorse far nascere un nuovo Beppe De Luca non sarà impossibile.