Dopo che Stefano Capozucca ha lasciato il Varese, nel giugno del 2002, si era aperta una fase disastrosa per la società che, nel 2004, aveva conosciuto il secondo fallimento della sua storia. L’ex direttore sportivo è ora al Cagliari, secondo in Serie B, ma per oltre un decennio è stato protagonista al Genoa.
Sapete già come posso rispondere. In biancorosso ho vissuto nove anni carichi di significati, in cui la squadra ha vinto due campionati (uno di Serie D e l’altro di C2, ndr) e due coppe Italia (una dei Dilettanti, l’altra di C). Sono cresciuti tanti giocatori che sono arrivati in alto e ho ancora amici in città, come Claudio Milanese: un grande presidente.
Dai tempi in cui l’ho sperimentata io sono passati più di vent’anni ed è cambiato tutto. Vincere, specie quando c’è un solo posto per essere promossi, è sempre difficile. E vedere il Varese nei dilettanti è un pugno in faccia. Ma credo che, programmando bene le mosse, la società riuscirà a tornare almeno in Lega Pro, il minimo per questa piazza.
In effetti la vera corazzata del girone era il Saronno che però, alla fine, si è dovuto accontentare del secondo posto, alle nostre spalle. Avevamo un bel gruppo di giocatori e avevamo potuto contare su Angelone Seveso, che purtroppo è morto qualche anno fa. Era un centravanti dal fisico possente e l’avevo preso dal Lecco, con cui aveva appena vinto la D. Si ripeté da noi.
Guardi, io del Varese ricordo tutto, ogni partita, comprese le trasferte che andavamo a giocare a Calangianus o in altri campi della Sardegna nell’anno della D. Quel derby risale al 2000-2001 e noi eravamo in una posizione delicata anche se ci saremmo poi salvati senza problemi. La sconfitta di Como ci aveva fatto male perché l’1-0 finale era arrivato in netto fuorigioco, di almeno cinque metri.
Il nostro rapporto è durato undici anni: mi chiamò quando io ero a Terni proprio con Mario Beretta. Avevamo fatto bene, sfiorando la A, e mi volle al Genoa, squadra per cui io ho sempre avuto un debole.
Avevo lavorato già al Genoa quando il ds era Riccardo Sogliano. Ci vorrebbe un giornale intero o un libro per parlare di Ricky, a cui voglio bene. È un uomo straordinario e non c’è nessuno che sa di calcio più di lui, a cui bastano cinque minuti per capire tutto di un giocatore. È un maestro e me lo tengo sempre nel cuore.
Sì ma io sono molto riservato. Riccardo è vulcanico e vive una vita frenetica. Ma, anche quando era lontano da Varese, ad esempio ai tempi del Venezia, chiedeva sempre che cosa avevano fatto i biancorossi. Che sono la sua squadra, a cui ha dato tantissimo da calciatore, da ds e poi da proprietario.
Lo sento spesso ed è felice per essere arrivato in questa piazza, dove suo padre ha sempre sognato di vederlo perché Ricky ama molto anche i colori rossoblù.
Ci siamo parlati a lungo anche perché siamo legati da affetto: l’ho visto crescere, non solo calcisticamente. Gli ho spiegato alcune cose, che però devono rimanere tra me e lui.
E la sua fortuna è stata proprio quella di andare al Varese, dove ha annullato tutto, ripartendo da zero e rispondendo a chi non credeva in lui. In biancorosso ha segnato 24 gol, tornando alla ribalta e dimostrando di meritare la A. E oggi sta facendo capire di essere pronto per la Nazionale. Ma se non avesse accettato la B e il Varese forse ora non sarebbe così forte.
Tutti questi che lo fanno sbagliano perché non credono in se stessi. Pavoletti ha sempre saputo quanto vale e ha fatto vedere di essere forte a Varese.
Sono a Cagliari e non è facile venire a Masnago, dove mi invita spesso Enzo Rosa, che ho conosciuto negli anni Novanta, quando era capo della curva mentre ora è diventato uno dei soci fondatori del Varese, a cui mando un abbraccio, da condividere con tutta la città.n