Sono “cattivi” loro malgrado, solo perché imitano le specie veramente aggressive. Così accade che nel grande spettacolo della natura molti animali innocui si guadagnano da vivere recitando il ruolo del “cattivo”, ovvero imitando specie simili ma più pericolose in modo da intimorire e tenere alla larga i predatori.
Tra questi “imitatori”, anche quelli più scarsi riescono a ottenere un discreto successo: per non essere stroncati dalla selezione naturale, infatti, non serve essere copie identiche dell’originale.
A dimostrare perchè ci pensa uno studio canadese pubblicato su Nature. I biologi dell’università di Carleton a Ottawa hanno studiato questo fenomeno prendendo a modello dei fuoriclasse delle imitazioni in natura, ovvero gli insetti della famiglia dei sirfidi, che tentano di ingannare i predatori con una vasta serie di performance tra cui l’imitazione delle vespe.
Ma non sempre tutto va bene: infatti non tutti però sono identici all’originale. Per capire come mai l’evoluzione non abbia cancellato gli imitatori peggiori, teoricamente più riconoscibili agli occhi dei predatori, i ricercatori hanno messo a confronto dozzine di sirfidi appartenenti a specie diverse, valutando sia la loro morfologia che le loro caratteristiche genetiche.
Sono così riusciti a scoprire che c’è un legame tra le dimensioni dell’insetto e la sua somiglianza al “cattivo” di turno che vuole imitare: il mimetismo è tanto più perfetto quanto più è grosso l’imitatore. Gli insetti più grandi sono infatti quelli più a rischio perchè particolarmente succulenti agli occhi dei predatori: per riuscire a evitare il pericolo, quindi, devono essere sempre più bravi nella loro imitazione, e per questo sono sottoposti a una selezione più dura.
u.montin
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