«In pochi sono pronti all’estero Il made in Italy? Non basta più»

Giacomo Valentini, patron di Orobianco, guarda a un Paese che punta sull’export. Il 95% del suo fatturato è fuori dai confini ma confessa: «Esportare non è facile»

Esportare è un’arte, la “parola magica” made in Italy non basta più per sfondare sui mercati internazionali.
La lezione di Giacomo Valentini, patron del gruppo Orobianco, che fa il 95% del proprio fatturato all’estero, soprattutto in Asia: «Expo è un’opportunità unica per incontrare il mondo».
Tra tante occasioni di incontri “business to business”, una rete di relazioni resa possibile come non mai dalla presenza di Expo 2015 a Milano, c’è da chiedersi se le imprese del nostro territorio sapranno aprire i canali giusti per esportare.

«Ai miei commerciali ho chiesto di organizzare una settimana intera di visita all’Expo – racconta Giacomo Valentini, ex manager e figlio di imprenditori del settore elettromeccanico, che ha fondato il brand Orobianco nel 1996 dopo un viaggio in Tibet – è un’opportunità unica per fare un giro del mondo in una settimana, se si visita l’Expo con l’occhio di chi vuole affrontare i mercati».
«Con i loro padiglioni, queste nazioni ci stanno mostrando il loro status economico,

le loro ambizioni: è l’approccio giusto per capire di cosa hanno bisogno, perché nei mercati potenziali bisogna saper dare quella cosa di cui non sapevano di avere bisogno».
Una sfida tutt’altro che semplice, soprattutto per chi non ci è abituato. «Non ci si inventa esportatori dall’oggi al domani – spiega Valentini – è un sistema molto complesso e ci sono tante problematiche da affrontare nel quotidiano. Penso che già il primo ordine dall’estero, quindi senza considerare tutta la fatica che sta dietro all’acquisizione di una commessa estera, metterebbe in difficoltà qualsiasi azienda. Il console di Shanghai recentemente mi raccontava un aneddoto sulle delegazioni italiane di imprese desiderose di esportare: una delle prime domande che rivolgeva agli imprenditori era se avessero almeno registrato il loro marchio in Cina».
Così, da habitué, Giacomo Valentini ha l’impressione di un’«armata Brancaleone» che si muove sui mercati internazionali, anche perché «la presunzione che la parola magica Made in Italy ci possa portare ovunque» è un mito da sfatare: «Se c’è dietro un prodotto, un manufacturing, è un valore. Se portato bene con gli ambasciatori giusti capaci di venderlo, ancor di più. Ma pensare di poter vendere nel mondo solo perché è Made in Italy è sbagliato».

La prima regola quindi è prepararsi. «Abbiamo grandi potenzialità, ma non siamo pronti – ammette l’imprenditore di Gallarate – se togliamo poche grandi società strutturate, per la maggior parte delle Pmi e per le aziende artigiane, esportare è tutt’altro che facile».
«La prima cosa è imparare la storia e la geografia dei Paesi in cui si vuole andare: è strategico conoscere come sono le relazioni culturali, le abitudini, le rivalità nazionalistiche. All’Expo io metterei una cartina geografica all’ingresso di ogni padiglione per indicare dove si trova quel Paese nel mondo».
Un mondo che peraltro è cambiato: «Quando eravamo bambini ci insegnavano che la cartina del mondo aveva l’Europa al centro e l’Asia e l’America ai due lati, ma oggi non è più così – fa notare Valentini – al centro c’è l’Asia e l’asse portante delle relazioni per il business non si trova più sull’Atlantico ma sul Pacifico, già da quando Stati Uniti e Giappone hanno stretto un patto fortissimo per il commercio estero». Tra i consigli che darebbe agli imprenditori, ce ne sono alcuni basilari: il primo è che «bisogna parlare le lingue» quando si intessono relazioni internazionali.
E poi, al di là di internet, che è importante «ma bisogna stare attenti a come ci si muove, perché è uno strumento molto localizzato», i metodi tradizionali possono fare sempre bene.

«Il vero B2B si fa faccia a faccia – bere un caffè con il cliente, scambiarsi opinioni ed esigenze, capire come si risolvono i problemi, è il modo migliore per approcciarsi».
Ecco perché Valentini annuncia la sua intenzione di «lasciare la gestione aziendale in Italia» per potersi «dedicare molto di più ai mercati esteri, vivendo di più all’estero». Orobianco è fortissima soprattutto in Giappone, ma si sta muovendo molto anche in Cina, «dove abbiamo dei consoli giovani, dinamici e bravissimi, di grande aiuto per le nostre imprese».

Ma lo sguardo deve essere sempre aperto, visto che i mercati cambiano velocemente.


«Oggi con Tecknomonster, che si posiziona nel segmento di alto lusso, andiamo a trovare i clienti dove sono, ad esempio i miei ragazzi erano a Marbella per vendere a importanti clienti russi e cinesi – conclude – nel mondo il mercato del lusso si è quadruplicato negli ultimi anni. Ma non basta più il brand su un capo di abbigliamento o un accessorio, serve un prodotto».