«Io, 86 anni, difendo il mio sogno Se ci fosse ancora il Cumenda…»

La testimonianza di un lavoratore di Whirlpool durante il corteo di protesta di ieri

– Già alle 9, mezz’ora prima che la lunga marcia cominciasse, il colpo d’occhio in piazza Mazzini a Gavirate era impressionante. Duemila persone circa, pronte. Un popolo in cammino che segna la svolta: «Se pensavano di mettere Nord contro Sud – dice , varesino – hanno sbagliato. Siamo uniti, solidali gli uni con gli altri. Per tanti è il lavoro di una vita. Per tutti è la vita. Non potevamo non esserci».
Carinaro (Caserta), Fabriano e Comerio. In tutto 1300 esuberi. Per i varesini è stato annunciato un taglio di 270 impiegati. Qualcuno c’era ieri mattina, mescolato con gli operai arrivati da vicino e lontano. «Dodici ore di pullman – racconta – ma dovevamo essere qui. Grazie a Varese per avere organizzato questa manifestazione. Dobbiamo rimanere uniti».

L’impressione infatti è che “l’americana”, come gli operai chiamano Whirlpool, volesse creare una frattura tra i poli. «Alla “si salvi chi può e degli altri chi se ne frega”» dicono i lavoratori. «Ma hanno sbagliato a capire – spiegano – forse si fa così in America ma in Italia è molto diverso».
Mentre la lunga marcia parte, nell’afa che sale dalla Statale deserta, spunta . Pensionato. Che ci fa qui? «A Cassinetta ho lavorato 40 anni – racconta – oggi di anni ne ho 86. Io Borghi me lo ricordo, mica come chi lo ho visto nella fiction. Era un signore. Erano altri tempi. Perchè sono qui? Perchè voglio che questa azienda abbia un futuro. Un futuro vero. Mio figlio ci lavora. È qui anche lui da qualche parte». E il libro della memoria si apre da sè: «Mi ricordo la sirena che segnalava i turni, i tempi bellissimi del dopoguerra. La scommessa di Borghi, l’audacia. A quel tempo là contavano le persone. Gli operai Borghi la mattina li salutava uno per uno. Mica come adesso che sono soltanto numeri. Numeri che si spostano da una casella all’altra, tanto non hanno una faccia, no? A quei tempi là una persona era una persona. Sul lavoro davamo il tutto per tutto perchè era l’unica cosa da fare. Ci credevamo noi. E c’erano i prodotti. Solidi, veri. Adesso hanno le strategie di marketing. E le ditte chiudono».

Con Liboli si parlerebbe per ore. Aggiunge: «Son qui oggi perchè abbiamo sognato una cosa grande tanti anni fa – conclude – l’abbiamo sognato tutti insieme. Non c’erano il padrone e l’operaio. C’era il progetto. E quel sogno lì noi l’abbiamo costruito. Che adesso arrivino coi loro numeri a smontarlo mi fa imbestialire».
Mentre Marino parla scoppia un petardo in lontananza. Lui, con “quel sogno lì”, che è arrivato a manifestare con la cravatta perchè «è una cosa seria» è riuscito a coprire il botto strappando un piccolo applauso a chi, da tutta Italia, ieri era nella nostra provincia. Perchè in quel sogno lì, nel lavoro, nella gente, ci crede più di quanto non creda nei numeri.