«Io il killer di Marisa? No, ho tentato di salvarla»

Giuseppe Piccolomo si difende: «Le ho tolto la sigaretta di mano». E il gup rimanda la sentenza. Decisivo ora sarà il parere del perito sulla dinamica dell’incidente di Caravate

«Non ho ucciso nessuno. Se ho una colpa è quella di averle tolto la sigaretta di mano in modo repentino, ma per salvarla. Non per ucciderla». , 67 anni, ieri ha rilasciato spontanee dichiarazioni davanti al gup che ha rinviato, dopo due ore di camera di consiglio, la decisione sul rinvio a giudizio o meno del killer delle mani mozzate (Piccolomo è già stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di consumato nel novembre 2009 a Cocquio Trevisago alla quale tagliò le mani) per l’omicidio volontario di , prima moglie dell’uomo morta in un incidente stradale considerato anomalo dall’accusa nel febbraio 2003.

Piccolomo aveva patteggiato all’epoca una pena a un anno e 4 mesi per omicidio colposo. La procura di Varese non trovò nulla di anomalo nell’accaduto. e , figlie della coppia, da sempre sostengono che quell’incidente, in seguito al quale Maldera morì arsa viva nell’auto in fiamme, fu in realtà un omicidio volontario.

La procura generale di Milano tre anni fa riaprì le indagini. Il gup a settembre rigettò l’eccezione sollevata da , difensore di Piccolomo superando il “ne bis in idem” (principio giuridico in base al quale una persona non può essere processata due volte per lo stesso fatto). Piccolomo, dunque, può essere rinviato a giudizio per l’omicidio della prima moglie.

Ieri avrebbe dovuto essere il giorno della verità: un processo, come speravano le figlie di Marisa, oppure il non luogo a procedere che avrebbe chiuso la vicenda. Il gup ha optato per una terza via, quella dell’approfondimento, chiedendo al perito che ha analizzato la dinamica dell’incidente di svolgere ulteriori approfondimenti il cui esito sarà esposto in aula il prossimo 19 gennaio.

«Finalmente – commenta Bruno – un magistrato che non si accontenta di ascoltare una sola voce». Bruno ieri ha discusso in aula: «Il perito ha sostanzialmente concluso che la dinamica dell’incidente è differente da quanto dichiarato da Piccolomo. Il mio assistito, in realtà, ha semplicemente spiegato che l’auto, uscendo fuori strada a velocità non elevata, si è ribaltata. La benzina contenuta nella tanica trasportata nell’abitacolo è schizzata ovunque e la sigaretta che la moglie stava fumando, e che lui ha cercato di levarle di mano proprio per eliminare il pericolo di un incendio. Piccolomo ha quindi spiegato di non ricordare niente, comprensibilmente, delle fasi più concitate dell’uscita di strada».

L’auto si sarebbe dunque ribaltata sfruttando come “leva” un muretto di pochi centimetri che costeggiava la strada finendo in un prato. «Si è quasi appoggiata, visto che la vettura non era lanciata a 100 all’ora – continua Bruno – questo giustificherebbe un danno alla portiera del lato passeggero, come dichiarato da Piccolomo, incastrata in conseguenza di questo. Il motivo per cui Piccolomo non riuscì ad aprire lo sportello». E Maldera restò intrappolata in mezzo al fuoco.

Per l’accusa invece Piccolomo sedò la moglie per evitare che potesse fuggire e inscenò l’incidente per mascherare un omicidio premeditato.