BRUSIMPIANO – Dopo quattordici anni di ministero nella piccola parrocchia di Brusimpiano, affacciata sulle rive italiane del lago di Lugano, don Nicolò Casoni ha lasciato la sua comunità. Lo ha fatto in accordo con l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, ma non senza amarezza. Alla base della scelta c’è un punto di rottura ormai evidente: l’inconciliabilità tra il rito “di sempre” – quello secondo il messale di San Pio V – e il nuovo rito nato dal Concilio Vaticano II.
Don Nicolò ha scelto la coerenza. Un percorso chiaro, lineare, che negli anni lo ha portato ad abbracciare la Tradizione cattolica nella sua forma più antica e solenne. E mentre molte chiese si svuotano, a Brusimpiano accadeva l’opposto: ogni domenica, centinaia di persone – tra cui molti giovani, attratti “clamorosamente” più dal Sacro che dalle “schitarrate da oratorio” – si ritrovavano per partecipare alla Santa Messa in latino, nella forma straordinaria che per secoli ha unito l’Occidente cristiano. Ma questo, evidentemente, non è bastato.
Da oggi don Nicolò non è più parroco della chiesa di Santa Maria Nascente, ma – almeno fino a nuovo ordine – continuerà a celebrare la Santa Messa nel piccolo santuario mariano di Ardena, sempre nel territorio di Brusimpiano ma sotto la giurisdizione della diocesi di Como. Un’eccezione che permette, per ora, la sopravvivenza della Messa antica in una zona dove era diventata un punto di riferimento per fedeli provenienti da tutta la provincia e anche dalla vicina Svizzera.
Intanto, nella parrocchia lasciata da don Nicolò, le prime Messe celebrate secondo il “novus ordo” dal nuovo sacerdote diocesano attirano non più di 30 o 40 persone. Ben altri numeri rispetto alle centinaia che riempivano ogni domenica la chiesa sotto la guida del parroco uscente. Ma evidentemente, a Milano sta bene così.
La decisione segna un punto doloroso non solo per Brusimpiano, ma per tutta una parte di Chiesa che oggi si sente non solo ignorata, ma apertamente osteggiata. La Chiesa che si definisce “grande, aperta e accogliente”, sembra preferire l’omologazione liturgica alla ricchezza dei riti. In un’epoca in cui l’evangelizzazione arranca, si rinuncia senza troppi scrupoli a un sacerdote capace di attrarre centinaia di anime in un paesino di frontiera, pur di non tollerare un modo diverso – ma senza alcun dubbio assolutamente e integralmente cattolico – di celebrare il Mistero.
E allora la domanda sorge spontanea: è davvero misericordiosa questa Chiesa figlia di Francesco ed ereditata ora da papa Leone XIV? La stagione dell’ascolto e dell’inclusione, tanto proclamata, non dovrebbe includere anche chi guarda con amore alla Tradizione?
Ora gli occhi sono puntati sul nuovo pontefice. Papa Leone XIV – eletto dopo la morte di Bergoglio – aprirà una nuova stagione di riconciliazione interna, o continuerà sulla linea restrittiva tracciata dal motu proprio Traditionis Custodes? E soprattutto: possono davvero coesistere due riti così diversi, non solo per forma ma per ciò che incarnano sul piano teologico, simbolico, ecclesiologico?
La vicenda di don Nicolò non è solo locale. È il sintomo di una frattura più profonda, che attraversa la Chiesa del nostro tempo. E Brusimpiano, con le sue Messe affollate e silenziose in latino, è diventato un piccolo ma potente simbolo di questa sfida aperta: Tradizione o innovazione? Continuità o rottura?
Le risposte, per ora, tardano ad arrivare.