Quando ero giovane se fossi andato da mio padre a lamentarmi di essere stato ripreso da un insegnante o da chiunque al quale dovevo portare rispetto, avrei preso una fila di calcioni nel sedere. Oggi i padri denunciano chi viene offeso e si permette di far rispettare le regole di comportamento. Che vergogna, ma in che mondo siamo finiti?
Ulrico Giustina
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È da un pezzo che siamo finiti in questo mondo. Il problema è sempre un altro, la colpa è sempre di qualcun altro. L’idea che possa esistere una mancanza individuale non indotta da alcuna causa esterna, è inconcepibile nella valutazione di tanti genitori. Per definizione, il figlio non è mai dalla parte del torto. Non sbaglia e non eccede. Sicché ignora il concetto del castigo da subire quando si vìola ciò che non va violato e impara a crescere nella bambagia della deresponsabilizzazione e tra le coltri dell’impunità.
Si tratta d’un evidente fallimento educativo che provoca ricadute disastrose sulla società, però pochi (quasi nessuno) lo ammettono. Perché significherebbe ammettere l’esistenza d’una malintesa e malaccorta interpretazione del ruolo della famiglia, dei doveri dei genitori, di quelli dei figli. Meglio privilegiare i diritti, e ancora meglio stabilire da sé quali sono i diritti. È diffusa una sorta di personale magna charta delle regole familiari, un relativismo comportamentale assolutamente impermeabile alle regole della vita collettiva. Se per caso, e ogni tanto, le prime e le seconde regole convergono, tanto meglio. Altrimenti, non fa nulla. Molte conseguenze della crisi con cui oggi facciamo i conti derivano dal male di cui soffre il nucleo costitutivo della società, stravolto nella sua funzione dal gravame dell’incultura etica. Però dire questa che appare un’ovvietà, è dire qualcosa di dissacrante. O per bene che vada, di noioso e perciò d’inascoltabile. Se non, addirittura, è dire qualcosa che merita una fila di calcioni nel sedere.
Max Lodi
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