VARESE- Un episodio di violenza psicologica e minacce a Varese ha portato alla condanna di un 41enne con precedenti penali, accusato di tentata estorsione nei confronti di un amico che, a sua volta, era anche suo socio d’affari. La vicenda si è consumata nel 2019, quando l’uomo ha scoperto che il suo amico, senza avvertirlo, si era messo insieme con la sua ex compagna. Il gesto ha suscitato una reazione violenta, culminando in una serie di minacce che l’uomo ha rivolto alla vittima, intimandogli di pagare 5.000 euro in contante per evitare danni alla sua auto, al suo camion e alla sua casa.
La rabbia del 41enne, noto per i suoi precedenti penali (tra cui una condanna per rapina nel vicino Canton Ticino), non è stata tanto alimentata dal tradimento in sé, ma dalla sensazione di essere stato ignorato e messo al corrente della relazione sentimentale attraverso voci di altri. «Queste cose agli amici non si fanno, sai?» aveva detto l’uomo, minacciando il suo ex amico con parole dure e dicendo che, se non avesse acconsentito alle sue richieste, avrebbe subito gravi ritorsioni. Le minacce continuarono nei giorni successivi, con il 41enne che cercava di colpire la vittima nel suo punto più vulnerabile: il portafoglio.
Tuttavia, la vittima ha scelto di non cedere al ricatto e ha denunciato l’uomo ai carabinieri di Varese, rifiutando di soddisfare le sue richieste estorsive. La denuncia ha avuto esito positivo: l’imputato è stato processato per tentata estorsione e condannato, in primo grado, a un anno e nove mesi di reclusione dal Tribunale di Varese. La pena è stata poi ridotta in appello, ma solo di un mese, con i giudici della Terza Corte d’Appello di Milano che hanno confermato la sentenza.
Nonostante la riduzione della pena, l’appello della difesa non è stato accolto. I legali dell’imputato avevano cercato di derubricare la condotta estorsiva, presentandola come una reazione legittima a un tradimento. Infatti, avevano paragonato l’accaduto a una sorta di “ristoro” per il danno morale subito dal loro assistito, argomentando che il delinquere per vendetta a seguito di un tradimento fosse un motivo nobile. Una tesi che, evidentemente, non ha convinto i giudici, che hanno respinto tutte le argomentazioni difensive.
La condanna in appello ha quindi ribadito la gravità del reato, escludendo qualsiasi attenuante e confermando la responsabilità del 41enne. La vicenda mette in evidenza come, dietro un tradimento sentimentale, possano scatenarsi dinamiche di estorsione e minacce che si concludono in un processo penale, con esiti pesanti per il colpevole.