VARESE «Dopo cento anni, si festeggia ancora una bufala». Ricorre oggi il centenario del furto della Gioconda ad opera dell’imbianchino Vincenzo Peruggia, che avrebbe agito mosso da patriottismo per riportare in Italia il quadro dipinto da Leonardo e che si riteneva fosse stato rubato da Napoleone (mentre fu lo stesso Leonardo a venderlo al re di Francia). Il cultore di storia locale Graziano Ballinari, originario a sua volta della Valle Veddasca, ha però deciso di mettere nero su bianco l’altra storia, quella che si mormora da un secolo in quella valle, e che racconta la dinamica del furto in maniera diversa. Secondo la ricostruzione di Ballinari, Peruggia avrebbe avuto un ruolo marginale nell’evento, ovvero quello di capro espiatorio, dovutamente pagato, per coprire i veri autori: i fratelli Vincenzo e Michele Lancellotti, suoi amici e originari di Cadero. Secondo Ballinari il vero dipinto, quello autentico staccato alla parete del Louvre nell’agosto del 1911, non sarebbe più ritornato a Parigi, dove sarebbe esposto un falso. «La Gioconda, quella vera, arrivò in una notte del 1911 in Valle Veddasca, portata dai due fratelli Lancellotti – racconta Ballinari – che la nascosero nell’osteria Garibaldi, gestita dalla madre. Da qui, nel 1913 partì alla volta di Firenze nella mano di Peruggia, che aveva avuto il compito, retribuito con 10mila franchi francesi, di cercare di vendere la copia e depistare le indagini che rischiavano di dirigersi sui due fratelli».Qui si rientra nella storia ufficiale: Peruggia si reca a Firenze, cerca di
vendere il quadro all’antiquario Gerri, che lo denuncia, e finisce dentro. Durante il processo Peruggia adotta la linea del falso patriottismo per giustificare il furto, la sentenza è mite e i governi italiano e francese chiudono alla svelta la questione. Ma Ballinari racconta quello che accadde due anni prima ovvero come si svolse il furto: «Un furto che avvenne nell’indifferenza totale, e che si scoprì solo qualche giorno dopo, quando uno studente chiese spiegazioni sul perché non fosse esposta la Gioconda. Il furto emozionò tutto il mondo e fece scoprire per la prima volta l’importanza di un dipinto fino ad allora un po’ snobbato, come dimostra il fatto che nessuno si curò fin da subito della sua assenza dalle pareti. Il furto, quindi, più per lo smacco al Louvre che per il dipinto in sé, scatenò un’ondata di furore popolare, subito seguito da un’azione di polizia mai vista nella storia (tanto che furono interrogati anche sospettati come Picasso e Apollineaire)». Durante il periodo agostano, il museo osservava numerose giornate di chiusura. Nell’ombra si muovevano due ombre, che quei corridoi li conoscevano bene. Due italiani. Vicenzo e Michele Lancellotti, i quali avevano ricevuto, sempre secondo la ricostruzione di Ballinari, una ricompensa di 100 mila franchi francesi da un trafficante d’arte, un nobile argentino che risiedeva a Parigi, Edoardo de Valfierno. Questa “storia alternativa” del furto della Gioconda diventerà presto un libro. «Io ed un mio collaboratore abbiamo quasi terminato la prima stesura».Marco Tavazzi
s.bartolini
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