La minigonna, mezzo secolo di trasgressione

Cara Provincia,è passato mezzo secolo da quando nella boutique Bazaar sulla King’s Road del quartiere elegante di Chelsea apparve per la prima volta un capo d’abbigliamento destinato a rivoluzionare la moda femminile. La minigonna partì da Londra grazie all’intuizione di Mary Quant, una ragazza come tante, figlia della buona borghesia inglese, ma con idee originalissime per la testa e un sicuro fiuto per gli affari. L’icona di Mary Quant fu una delle prime “donne grissino”, la parrucchiera Leslie Hornby, poi nota in tutto il mondo con il nome di Twiggy, simbolo della liberazione dei costumi ma anche di un’inquietante magrezza: infatti molte ragazze per imitarla finirono con l’avere gravi

problemi di anoressia.La minigonna, che all’epoca fece urlare allo scandalo i cosiddetti benpensanti ma anche le femministe, che vi vedevano la mercificazione del corpo femminile, per fortuna è riuscita a vincere i luoghi comuni e l’ottusità della gente ed è arrivata fino a noi, in mille varianti, portata da dive e donne normali. Da ormai “antica” indossatrice di minigonne, però, provo un po’ di tristezza nel vedere le ragazze di oggi quasi sempre in pantaloni o al massimo, nella stagione estiva, con gli shorts. Non c’è confronto con un paio di belle gambe occhieggianti da una gonna, che pur corta offre sempre quel “vedo non vedo” regola prima della seduzione.

Olga Scarpati

Cara signora Scarpati,
l’invenzione della minigonna spostò la leadership della moda da Parigi a Londra, che allora dettava legge anche nella musica con il fenomeno Beatles. Con il viso molto truccato, gli abitini minigonna “optical”, gli occhialoni da sole, Twiggy rappresentava il punto di arrivo per migliaia di ragazze di ogni parte del mondo, l’idolo da imitare in ogni dettaglio, purtroppo perfino nella magrezza.
Dopo tanti anni di “esposizione” però – ormai la mini è diventata micro – non sarebbe male, per il “vedo non vedo” da lei citato, che ogni tanto la gonna aumentasse un pochino di lunghezza, per lasciare almeno qualcosa all’immaginazione.

Vittorio Colombo
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