VARESE «La mia vita salvata con 15 mila franchi svizzeri». Così, a distanza di 68 anni emerge una storia di confine vissuta da un ufficiale lombardo, il tenente Guglielmo Mozzoni, impegnato dopo l’8 settembre 1943 tra Lugano e il territorio varesino e comasco con funzioni di collegamento tra le rappresentanze degli alleati presenti in territorio svizzero e le formazioni partigiane operanti sul versante italiano.
Mozzoni, architetto di professione, nato a Milano, cresciuto a Varese nella villa paterna di Biumo Superiore, è marito di Giulia Maria Crespi, presidente onorario del Fai. Prossimo ai 97 anni, insieme all’amico Franco Giannantoni, giornalista e ricercatore di storia contemporanea, ha deciso di raccontare la sua avventura nel periodo compreso tra il 25 luglio 1943, data di caduta del fascismo, e il 30 aprile 1945 quando a conflitto ormai concluso è stato paracadutato sul prato di San Siro con la “Missione Vincent” della “Special Force”. I cimeli di quest’evento sono esposti al Museo del Risorgimento a Milano.
Esponente di una delle più prestigiose famiglie della nobiltà lombarda, giovane liberale, Mozzoni non ha mai avuto riconoscimenti pubblici per le sue imprese eppure proprio sul Bisbino in una freddissima giornata d’inverno è stato catturato da una banda fascista e condannato, senza processo, alla fucilazione.
A salvargli la vita è stato uno stratagemma al quale l’intraprendente ufficiale ha fatto ricorso, secondato da un personaggio svizzero passato alla storia, Guido Bustelli, responsabile dei servizi segreti della Confederazione per la zona di Lugano. Il baratto, fortunosamente intavolato, è avvenuto per un corrispettivo in franchi svizzeri di tre milioni di lire e lo scambio è stato attuato proprio sulla linea di confine con banconote tagliate a metà.
«Il 21 gennaio 1945 – ricorda Guglielmo Mozzoni – ero a Lugano e Guido Bustelli mi aveva affidato un incarico importante, portare subito a Milano l’elenco delle guardie del carcere di San Vittore disposte a disertare e collaborare a un piano per far evadere detenuti appartenenti alla Resistenza. Con me ci sarebbero stati un giovane che conosceva bene i luoghi di nome Sandrino e un tale Giuseppe Glisenti alias Giovanni Fanetti corriere del Clnai di Lugano.
Era l’alba quando arrivati in prossimità del Bugone, dopo essere passati dalla casermetta Murelli presidiata da una brigata comunista comandata da un certo Orazio, ovvero Giovanni Costa, eravamo stati bloccati da una pattuglia in grigioverde: un gruppo travestito da partigiani che altro non era che una formazione fascista appartenente alla banda Tucci, alias Emilio Poggi».
Una volta portato alla casermetta Murelli, Mozzoni aveva fatto ai capi della banda una proposta, scambio tra la libertà dei tre prigionieri con un corrispettivo in franchi svizzeri pari alla taglia pendente sulla sua testa e un salvacondotto per trovare accoglienza in Svizzera, familiari compresi, in un momento in cui tutto lasciava presagire la sconfitta del nazifascismo. Un colpo di fortuna aveva fatto sì che la proposta venisse accettata e l’ultimo atto era stato quello di mandare Glisenti e Sandrino a Lugano a prendere i soldi. Un viaggio lungo e faticoso per quei tempi che tuttavia era andato a buon fine. Guido Bustelli, grazie alla disponibilità del console Usa a Lugano, James Christy Bell, aveva racimolato la somma con banconote tagliate a metà.
«La consegna dell’altra metà – prosegue il racconto di Guglielmo Mozzoni – sarebbe avvenuta al confine nel momento dello scambio. L’operazione aveva imboccato la strada giusta e, una volta liberato, il giorno successivo ero passato di nuovo in Italia per altri sentieri in modo da consegnare a Milano quell’elenco che per tutto il tempo della vicenda avevo meticolosamente conservato e gli altri, ingolositi dai soldi, non si erano preoccupati di cercare».
s.bartolini
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