La sindrome del foglio Maledirà pure i muri

Il foglio bianco è così, fa brutti scherzi. Se per lo scrittore la pagina vuota è fonte di inenarrabili ansie, per il writer il muro intonso è un richiamo irresistibile a cui rispondere seduta stante.

Quanto dura, a Varese come altrove, un muro ripulito in mezzo ad altri imbrattati? Un pomeriggio, una sera? Non di più, ché i paladini della bomboletta, a modo loro, sono degli ammirevoli stakanovisti, tutti dediti all’impresa di marchiare la città – facciate, colonne, tombini – con la propria tag. Un’ansia di affermazione e un istinto territoriale sorprendenti, perfino non umani: solo l’etologia canina in particolare il bisogno di segnare il territorio dei giovani maschi, offre un paragone adeguato. Chi alza la zampa, chi brandisce lo spray.

Nel rimpallo di responsabilità su chi debba pulire, una cosa è certa: se avete appena ridipinto un muro, domani mattina uscirete di casa e lo troverete di nuovo firmato. E quindi lo si capisce eccome, il privato che non provvede subito a nettare facciate e vetrine: al danno economico di dover imbiancare di continuo si aggiunge la beffa, lo scoramento, l’impressione di star combattendo una battaglia già persa.

Nemmeno stupisce che in tempi di magra un Comune preferisca spendere per interventi duraturi, rattoppare le buche, sistemare i marciapiedi, piuttosto che pulire un muro che resterà bianco a dir tanto ventiquattr’ore (che poi il Comune non rattoppi neanche le buche e né sistemi i marciapiedi è un altro discorso). Strade alternative sono state battute, come no: in molte città si è pensato di preservare gli edifici offrendoli come tavolozza a un writer talentuoso, meglio se noto, perché se è vero che il graffitaro medio non rispetta il muro bianco è altrettanto vero che mai imbratterebbe l’opera di un maestro.

Purtroppo la storia recente insegna che esiste anche il graffitaro sotto la media, se è vero che a Milano qualcuno ha cancellato a suon di tag la meravigliosa Madonna di El Mac e Retna – due maestri del graffitismo, entrambi di Los Angeles – dipinta su un portone gentilizio alle Colonne di San Lorenzo. Un’opera di indubbia bellezza, con un’intensità e dei chiaroscuri quasi caravaggeschi, che anche ai proprietari del palazzo è dispiaciuto perdere. Se poi si pensa che a Napoli un writer ha vandalizzato una Santa Teresa profana di Banksy, guru mondiale della street art, cancellando per sempre una delle uniche due opere italiane dell’artista inglese, appare chiaro che anche la via dell’educazione per distinguere arte di strada e vandalismo sia lunga e impervia.

Forse l’unica prevenzione efficace è quella da fare direttamente sui muri: rivestire case private e pubblici edifici con una speciale vernice trasparente che rende qualsiasi graffito, scarabocchio o opera d’arte che sia, lavabile con acqua tiepida. Bastava pensarci, e infatti qualcuno l’ha fatto: la pellicola antigraffiti esiste, si chiama Hlg System ed è stata progettata in Giappone, commercializzata in Spagna e adottata dalla giunta milanese di recente, con profusione di foto di Pisapia intento a dare la prima pennellata.

Se l’esperimento milanese andasse a buon fine – e se un bel dì vedremo le finanze pubbliche rimpinguarsi – Varese potrebbe farsi carico del decoro cittadino con interventi duraturi, nella certezza che gli sforzi profusi il giorno prima non svaniscano all’alba.

Laura Campiglio

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