Se il Mariano ha fermato la corsa del Varese, costringendo i biancorossi allo 0-0 dopo cinque vittorie consecutive, l’arbitro Modesto di Treviso ha dato un colpo al cuore a , imponendogli di non giocare la partita se non si fosse tolto la fede dall’anulare della mano sinistra. Il mediano biancorosso è rimasto sconcertato davanti al direttore di gara e ha anche confessato che
avrebbe potuto reagire con una decisione molto drastica: «Ho pensato di smettere». Ma Gheller, che ha compiuto 40 anni il 3 agosto, è cresciuto nel Varese e, fin dai tempi in cui vestiva la maglia delle giovanili biancorosse, sa di non dover mollare mai. Solo gli è rimasta dentro tanta amarezza da sabato scorso e cioè dal giorno della partita con il Mariano.
È proprio lui a raccontarci le cose, partendo da lontano: «Sedici anni fa, nel 1999, giocavo già nel Varese in C1 e in seguito a uno scontro in allenamento con mi ero rotto il quarto metacarpo della mano sinistra. Dopo l’operazione mi ero rimesso la fede, che però non mi sono più riuscito a togliere. In tutti questi anni nessun arbitro mi ha mai tenuto fuori dal campo: ho sempre usato un’adeguata protezione e nella trasferta di Legnano il direttore di gara mi aveva raccomandato di fasciare bene il dito. Come facevo del resto in Serie B». Ma a Mariano è successo qualcosa che Gheller non si aspettava: «Già prima della partita l’arbitro Modesto mi aveva fatto capire che non avrei potuto giocare con la fede. Eppure nelle fasi finali dell’incontro, il Mariano ha mandato in campo Fontana che aveva l’anello. L’ho fatto presente al guardalinee che mi ha detto di stare zitto. Anzi, se avessi continuato a insistere sulla disparità di trattamento ho capito che sarei potuto perfino incorrere in una sanzione e, dunque, in una eventuale squalifica».
I due pesi e le due misure hanno fatto infuriare il Varese e il vicepresidente non ha parole: «È allucinante non far giocare Gheller perché porta la fede. È un professionista di 40 anni che ha sempre militato ad alto livello e mai nessuno lo ha costretto a togliersi l’anello. Bastava una fasciatura idonea, come sempre. Non capisco perché ci si sia voluti accanire in questo modo. Evidentemente la trasferta di Mariano doveva andare così per il Varese che non ha potuto neppure portare con sé i tifosi per quell’assurdo divieto di trasferta che ci è piovuto sulla testa settimana scorsa». Il tecnico è sulla stessa linea: «È ridicolo. Ci
vuole buon senso, come in tutte le cose». Anche l’allenatore dà la sua ricostruzione: «Prima della partita, l’arbitro è entrato nello spogliatoio e ha visto la fede di Mavillo. Quindi ha detto: “O la togli o non giochi”. Al che io ho osservato: “La copriamo, come sempre, con la gomma piuma e il nastro”. A questo punto, il direttore di gara ha ribadito il suo no mentre Gheller ha detto: “In B giocavo sempre con la fede fasciata”. Sapete come ha risposto l’arbitro: “Beh, io non sono ancora arrivato in Serie B e qui si fa come dico io”. Assurdo. A questo punto ho chiesto provocatoriamente se bisognava amputare il dito a Mavillo».
Ma che cosa dice il regolamento? La regola numero quattro è quella che prende in considerazione l’equipaggiamento dei calciatori e al capitolo sugli accessori di gioielleria e monili recita così: «Tutti i gioielli (collane, anelli, braccialetti, orecchini, strisce di cuoio o di gomma ecc.) sono severamente vietati e devono essere tolti. Usare nastro adesivo per coprire i gioielli non è consentito. Anche agli arbitri è proibito indossare gioielli (a parte un orologio o apparecchiature similari necessari alla direzione di gara)». La norma è chiara e vieta gli anelli ma spesso si chiude un occhio, consentendo ai giocatori di fasciare e proteggere il dito con la fede. L’intransigenza comunque non manca come era accaduto nel 2011, sempre in Eccellenza. La Piovese, squadra di Piove di Sacco, in provincia di Padova, doveva affrontare il Moriago e l’arbitro di Schio aveva imposto a di togliere la fede. Poiché l’anello (ricoperto fra l’altro con il nastro adesivo) non si toglieva, ecco che la Piovese era stata costretta a sostituire il suo difensore, dopo soli 5 minuti. «Un caso allucinante – ricorda l’allenatore – perché avevamo provato a togliere l’anello in tutti i modi, ma questo non veniva via. Visto che la partita continuava, ho detto all’arbitro: scusi, ma cosa possiamo fare? E siccome non ci dava retta, l’ho sostituito». Nel 2013, a , riserva del Deportivo Anzoátegui (Venezuela) era stato impedito l’ingresso in campo a causa della fede che portava al dito. Anche in quel caso l’arbitro non aveva voluto sentire ragioni e il calciatore aveva provato in tutti i modi, anche con una pinza, a rompere la fede ma tutti i tentativi erano falliti e lui era rimasto in panchina.