«L’Ambrì è magia, io ce l’ho nel sangue. La Valascia fa innamorare i bambini»

Carlo Montoli, storico medico del Varese, racconta la passione biancoblù: «Merito del bisnonno. Sport massacrante, giocano di continuo. Alle partite sto attento: una volta presi un disco in testa»

Carlo Montoli è da una vita ortopedico di fiducia del Varese e potrebbe scrivere più di un libro sulla storia della squadra di cui si occupa dal 1991. Marco Marano invece è stato biancorosso solo di sfuggita – nell’ultimo campionato di serie B – ed ora è approdato nella massima categoria dell’hockey su ghiaccio svizzero: è diventato medico del Lugano. Montoli è da sempre tifoso dell’Ambrì Piotta: i derby hanno infiammato il Canton Ticino nel primo fine settimana del nuovo anno: sabato il Lugano ha vinto ai rigori, domenica l’Ambrì ha vinto all’overtime.

No ma se lo merita. Ed è stato più fortunato di me: lui fa parte del Lugano, invece io dell’Ambrì sono solo un tifoso.

L’hockey svizzero mi è sempre piaciuto molto: per me era una tradizione guardare sulla televisione svizzera le partite. Intorno ai dieci anni mi è venuta una passione smodata per l’Ambrì: pensavo fosse una questione di pelle, invece era un fatto di sangue, come ho capito trent’anni dopo. Il mio bisnonno Nicola Fraquelli era originario di Airolo, a pochi metri dalla Valascia, il tempio dell’Ambrì.

La cosa strana è che l’Ambrì ha una marea di tifosi nonostante si trovi in vallate poco abitate. La fede per questa maglia è qualcosa che supera i luoghi. Quando si vince, alla Valascia intonano la “Montanara”, coro splendido e inno della squadra. Insomma, si respira un’atmosfera unica.

No. Quattro anni fa ci avevo portato i miei figli per vedere il derby: c’erano seimila persone, tutto esaurito. La Valascia ha un lato aperto a nord e quando soffia il vento si congela: ma l’ambiente è unico. Mio figlio Filippo, che è anche romanista, si è innamorato dell’Ambrì e gira con la sciarpa e la felpa della squadra.

Non so neppure pattinare, ma sono curioso e la tentazione di prendere il bastone in mano per inseguire il disco è grande. Non lo faccio solo perché cadrei: voglio evitare incidenti, perché una volta mi è successa una cosa…

Ero al Palalbani per seguire i Mastini, per cui ovviamente ho sempre fatto il tifo. A un certo punto il disco è uscito dal campo, colpendomi alla testa. Mentre tutti intorno a me ridevano di gusto, io mi sono comportato come se nulla fosse, anche perché ero con la mia fidanzata: ma, una volta uscito dal palaghiaccio, la prima cosa che ho fatto è stata di mettermi la mano sul capo, che sanguinava.

L’hockey è massacrante: basti pensare che il primo derby di quest’anno è finito sabato sera alle undici, e domenica alle quattro del pomeriggio le squadre erano già di nuovo in campo… Credo che nell’hockey non ci siano preparazioni né diete rigorose: qualche ex dei Mastini mi ha confessato di trasferte in pullman con soste all’autogrill per rifornirsi di birra. Prima della partita non è il massimo.

Me lo ha comunicato offrendomi anche qualche biglietto per le partite del Lugano: io gli ho ricordato, con una certa enfasi espressiva, che tifo Ambrì e che non potrei mai andare alla Resega, se non per vedere un derby.