Renzi ha dato per scontato l’ingresso in politica di Landini. Lo immaginavo, ha detto, anzi ne ero sicuro dopo la sua sconfitta sindacale: non poteva fare altro. In realtà Renzi non se l’immaginava, pure se forse lo temeva. Landini infatti sarà una spina conficcata da sinistra nel fianco del Pd e potrebbe sottrargli una messe di voti. Se si tornerà alle urne nel 2018, ci sarà inoltre tutto il tempo per organizzare un partito simile a quello greco di Tsipras. Un’opposizione che Renzi non si aspettava, e secondo me molto insidiosa. Molto più di quella di destra.
Gino Canali
Landini in politica crea un problemone a Renzi e un problemino a Salvini. A Renzi (1) perché gli potrebbe portar via un pezzo del Pd, la minoranza eternamente rissosa nei confronti del segretario. Aggiungendosi a questa i vendoliani di Sel e gli arrabbiati della Cgil, ne sortirebbe un’aggregazione importante, che già i primi sondaggi indicano come capace di conquistare almeno il cinque per cento del consenso degl’italiani. E che avrebbe buone possibilità di andare oltre questa soglia, se il malcontento sociale continuerà. A Salvini (2) perché gli toglierebbe
il pressoché totale monopolio della protesta, che oggi egli detiene dopo la svolta lepenista. Landini infatti si metterebbe in palese concorrenza col leader della Lega, ideologie a parte e badando al pratico. Ovvero, per sintetizzare: a estremismo, risponderebbe con estremismo e mezzo. Sicché, se Renzi in cuor suo si augura che il capo sindacale non cambi mestiere, idem desiderio sta nell’animo di Salvini. Ma un po’ anche in quello dei postberlusconiani reduci dall’aver infranto il patto del Nazareno: come antirenziani, sono più credibili loro o Landini?
Max Lodi