Le nostre pietre vive accendono il fuoco

L’editoriale di Gigi Farioli

Gli assidui lettori de La Provincia di Busto hanno già conosciuto le eccellenze che la Busto migliore, divenuta Città oltre centocinquant’anni fa grazie soprattutto, se non solo, al suo senso di comunità responsabile e consapevole, ha saputo tradurre in tradizione viva. Quella tradizione – che è insieme fedeltà e innovazione, continuità e creativa fantasia per il futuro e che, come avrebbe detto Mahler e come forse in un momento di lucidità potrebbero ripetere Uto Ughi e Riccardo Muti, non è coltivare la cenere, ma saper tenere vivo il fuoco – non ha pietre vive solo in città. Ma conserva pietre vive e potenzialmente generatrici di ulteriore vita anche fuori dai propri confini. Busto Arsizio ha sempre avuto tra i suoi cittadini, dai più umili ai più benestanti, esempi di lungimiranza e di apertura che, sempre, hanno saputo guardare oltre il

proprio tempo, oltre il proprio limite, oltre il proprio “particulare”. È così che oltre a far nascere in città esempi di assistenza per l’infanzia, di formazione per i bimbi, di educazione e di istruzione per gli adolescenti, oltre che scuole professionali tecniche per i potenziali collaboratori della “Manchester italiana”, hanno sempre saputo guardare oltre le nuvole e oltre i confini. È da qui che nasce la tradizione viva delle cosiddette Colonie di Busto Arsizio. Anch’esse un patrimonio, pietre vive. Che spesso l’incuria del tempo, la superficialità di alcuni attori, ma soprattutto il veloce turbinio delle variazioni economiche, finanziarie, sociali e demografiche, ha portato ad una pericolosa sottovalutazione. Nello scorso decennio alcune difficoltà, improvvise forme di contenzioso cadute sul tavolo dell’amministrazione ai suoi primi passi, hanno offerto secondo il detto “ex malo bonum”, di riconsiderare, conoscere e rivalutare tale immenso patrimonio.