Dunque, il Poz. E non è facile, dopo che le emozioni di domenica sera hanno prosciugato tutto: finanche le parole. E forse non è nemmeno giusto ingabbiare la meraviglia di un derby negli schemi e nelle parole, forse per una volta è meglio lasciarsi guidare dalle sensazioni e dai ricordi. Flash che faticano ad andarsene via e che portano tutti, inevitabilmente a un volto solo: Gianmarco Pozzecco, l’uomo che il mondo è tornato a invidiarci.
Dunque, il Poz. Perché dobbiamo provare a spiegarla questa cosa qui, perché ci aspettavamo sì fuoco e fiamme, ma non osavamo immaginarci tutto quello che è stato. La notizia è che non è cambiato niente: Gianmarco sta in panchina esattamente come stava in campo, ovvero a modo suo. Impossibile chiedergli essere qualcosa che non è mai stato, e che probabilmente non è capace di essere.
Pozzecco non vive di schemi, statistiche, videoclip e riunioni: se il basket fosse fatto solo di queste cose qui lui non potrebbe allenare e nemmeno avrebbe potuto giocare. Pozzecco non vive di cavalleria, compostezza, politically correct e doppie facce: se la vita fosse fatta solo di queste cose qui non
ci sarebbe spazio per la poesia. Pozzecco vive di rapporti e sentimenti: i suoi giocatori lo amano alla follia, e tutto ciò che fanno lo fanno per lui. Pozzecco vive di passione e fuoco, carne rossa sulla piastra rovente, zero compromessi: condensato in quell’esultanza vera e genuina, esplosa sulla sirena.
Già: quell’esultanza. Che ha spaccato in due il mondo del basket, diviso tra chi si è fatto travolgere dal suo entusiasmo e chi invece ha preso le piroette sotto la curva come l’ennesima giullarata di un pagliaccio del quale non si sentiva la mancanza.
Diciamo la nostra, anche se pare già chiaro a tutti da che parte stiamo: siamo tifosi, ma siamo tifosi della pallacanestro. Ecco perché amiamo Pozzecco alla follia, ne amiamo le spigolature che lo rendono un personaggio estremo. Sta passando un treno, probabilmente uno degli ultimi, il basket italico farebbe bene a saltarci su: un treno che sta portando visibilità, entusiasmi dimenticati, titoloni dei quotidiani nazionali. Un treno guidato da un personaggio, uno di quei personaggi che il nostro basket ha perso e senza i quali si è smarrito. Scrollare la testa di fronte alle pozzeccate, tarparne le follie e bollarle come irrispettose significa accettare la china pericolosa verso il baratro e il buio dell’anonimato.
Mettiamo le mani avanti, perché già si sono alzati i primi strali dai palazzi del nostro basket: allergici al nuovo e legati alle convenzioni, che guardano con sospetto a chi non ha paura di mostrare le sue emozioni.
L’esultanza del Poz è un patrimonio di tutti, da difendere a spada tratta. È la prima ventata di novità da secoli a questa parte, qualcosa a cui non eravamo abituati. Una luce nel buio, capace di vincere le partite e riempire i palazzetti. Una luce che, ormai, è impossibile da spegnere: piaccia o no.
Francesco Caielli
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