Lettera personale all’amico Michele

di Andrea Confalonieri

Dovremmo essere felici per il fatto che Michele Lo Nero non è più l’amministratore delegato del Varese perché così sua moglie Oriana lo avrà finalmente un po’ per sé, e lo stesso capiterà a noi del giornale. Dovremmo essere contenti per noi, per lei e per lui, ma non lo siamo. Perché nel nostro personale mondo forse sbagliato il Varese viene prima di noi, e anche del giornale. E quindi avremmo voluto continuare a vedere una faccia sincera (sincerità chiama sincerità) in un ambiente dove parecchie persone – molte non ci sono più – l’anno scorso avevano tutto tranne che quella. Avremmo voluto continuare a sentirci dire che la cosa più bella che gli è capitata in questi mesi sono stati i cori di incitamento della curva all’aeroporto di Catania per una squadra che era appena stata sconfitta in una partita che contava parecchio. E avremmo voluto raccontare ancora di quella volta che partì da solo in una notte di pioggia per raggiungere casa Landini e

chiedere a Spartaco: «Vieni a fare il direttore sportivo del Varese?» (è stata la cosa più bella che sia capitata negli ultimi mesi ai biancorossi, oltre all’arrivo di Capezzi e alla corsa in treno di D’aniello e Laurenza – dopo che quest’ultimo aveva ipotecato tutto ciò che poteva ipotecare – per iscrivere la squadra a 41 minuti dall’esclusione dalla serie B). Avremmo voluto proseguire questa sfida con un pezzo di noi in società per sentirci ancora più forti ma non è stato possibile, e forse non era nemmeno giusto: perché «La Provincia» ha bisogno di Lo Nero mentre il Varese (questo Varese) per ora può farne a meno. E perché non sempre può comandare soltanto il cuore, ma a volte va ascoltata anche la ragione. E la famiglia: per quanto sia grande quella biancorossa, Michele ne ha anche un’altra. Che conta di più. E che lo riabbraccia. Schiavi di Lo Nero, ci rimproverava qualcuno, ma noi siamo stati e siamo molto più che degli schiavi. Siamo amici.