Bengasi, 20 apr. (TMNews) – Avevano ricevuto l’ordine di andare a combattere Osama bin Laden nell’est della Libia, ma non l’hanno trovato. Hanno invece sparato, senza saperlo, contro i loro fratelli libici. E ora marciscono nelle carceri di Bengasi.
Gli oppositori al colonnello Muammar Gheddafi accusano spesso i ‘Murtazaqa’ (mercenari) del continente africano di aver trovato una miniera d’oro, in Libia, scegliendo di combattere contro i ribelli. “Io non sono un mercenario, ma sono libico. Sono stato un soldato, a Waddan (nel centro del Paese). Mi hanno detto che Bin Laden era a Bengasi. Io non sapevo nulla della rivoluzione” ha confidato candidamente Omar, 31 anni, il piede destro rotto, fasciato, e una flebo al braccio.
“I ribelli mi hanno catturato durante i combattimenti a Brega. Sono detenuto qui da nove giorni” ha raccontato un uomo sdraiato su un materasso di fortuna posato a terra, in una cella che condivide con altri sei detenuti, tutti immobili, nelle loro coperte di lana. Sperduti, superati dagli eventi, molti tra loro affermano di essere stati spediti al fronte; altri di esserci andati spontaneamente. Senza nemmeno conoscere il nemico da combattere.
“Io sono del nord di Tripoli. Sapete che lì non c’è al-Jazeera. La televisione di Stato chiedeva agli shebab di andare a combattere nell’est perché c’era al-Qaida, c’erano mercenari venuti dall’Afghanistan per invadere il nostro Paese” ha raccontato un altro uomo. “Io sono andato fino a Brega. Quando ho visto che non c’erano i terroristi di al Qaida, ma i ribelli, mi sono arreso. Ma c’è stata comunque una sparatoria e sono stato ferito al braccio” ha aggiunto da dietro la grata della cella, muri bianchi e luci al neon impolverate.
Sessantanove uomini arrestati dai ribelli, che controllano l’est del Paese, si trovano in quella che, sotto Gheddafi, era “un centro di detenzione per bambini” divenuta, con i ribelli, una prigione militare. Tra questi, un algerino, un siriano, un ghanese e un presunto ciadiano sono sospettati di essere mercenari al soldo di Gheddafi: accusa che, naturalmente, respingono.
“Abito a Bengasi, sono un commerciante del suk. Sono senza documenti. Andavo ad Ajdabiya. I ribelli mi hanno arrestato e hanno detto che ero un mercenario, perché indossavo dei pantaloni color kaki. Ma non sono un mercenario” ha ripetuto Jamal, un ragazzo magro, barba bruna e folta, rinchiuso in carcere da dodici giorni. Le autorità dei ribelli sostengono che le persone sospettate di essersi battute per Gheddafi saranno giudicate al momento opportuno da un tribunale militare.
Alla domanda se sarebbe disposto a combattere per i ribelli, se fosse liberato, un detenuto dalla pelle color carbone, originario di Sabha, nel sud, ha risposto che si tratta di una questione “difficile”. “Ci sono libici su entrambi i fronti. Io sostengo le idee dei ribelli, ma allo stesso tempo non vorrei andare al fronte per sparare a un fratello libico che, come me, non sa perché si batte”.
(con fonte Afp)
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