Busto Arsizio «Lo stadio non può essere una zona franca in cui tutto è permesso: non esistono posti in cui viene interrotto il rispetto per gli altri». Andrea Monteduro, preside del liceo artistico “Candiani” di Busto Arsizio, ha concluso così il suo intervento nella prima riunione del laboratorio contro il razzismo promosso dal Comune di Busto Arsizio. Un intervento molto particolare e denso di significato, quello del professor Monteduro. Il perché l’ha spiegato lui stesso. «Il 3 gennaio – racconta il dirigente scolastico – ero anch’io allo “Speroni” per assistere a Pro Patria-Milan. E in un altro settore dello stadio, proprio quello da cui sono partiti gli insulti di cui tanto si è parlato, c’era un mio stretto congiunto. Con il quale, nei giorni successivi, ho ovviamente parlato a lungo di quei fatti». Si sono così confrontati, all’interno della stessa parentela, due modi profondamente diversi di valutare ciò che è avvenuto quel pomeriggio. E due opposte concezioni di
come si debba assistere a uno spettacolo sportivo. «Quando ho chiesto a questo mio congiunto perché fossero partiti gli insulti – continua Monteduro – mi ha risposto: “Eravamo allo stadio”, come se lo stadio sia una zona franca in cui tutto è ammesso. No, non tutto può essere ammesso. Non tutto si può fare. Non è giustificabile questa cultura del “si può” che già Giorgio Gaber denunciava in una sua canzone molti anni fa». Un’altra obiezione rivolta dal parente di Monteduro riguarda il fatto che “in un gruppo possono succedere queste cose”. «Anche questo non è accettabile – sottolinea il preside del “Candiani”, che ha parlato anche a nome del Cis (Coordinamento istituti scolastici) di Busto e della Valle Olona – Il rispetto per gli altri non si può “sospendere”. In nessun luogo. Alle manifestazioni di razzismo e di intolleranza – ha concluso Monteduro – bisogna ribellarsi con un’assunzione di responsabilità. Che è sempre un atto individuale».Francesco Inguscio
f.artina
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