BUSTO ARSIZIO Abusò della figlia dell’amico: condannato a sei anni e quattro mesi. Così ha deciso ieri il tribunale di Busto Arsizio, che ha ritenuto colpevole un uomo di 43 anni della Valle Olona accusato di violenza sessuale verso una bambina di soli quattro anni, la figlioletta appunto di un amico, che su di lui credeva di potere contare e che per questo motivo spesso gliela affidava. Una storia abominevole, considerata la tenerissima età della vittima, che potrebbe avere pesanti ripercussioni di natura psicologica sulla vita futura della piccola.
L’udienza è stata discussa a porte chiuse, con imputato presente in aula ma non agli arresti. L’uomo, allora incensurato, era stato arrestato il 26 giugno dello scorso anno: i fatti contestati risalivano al 2008. Secondo l’accusa aveva coinvolto la piccola in “giochi” a sfondo erotico, circostanza confermata dalla stessa bambina in un’udienza protetta e condotta con tutta la delicatezza e la circospezione del caso: inequivocabili anche i disegni prodotti in tale circostanza dalla manina della bimba, che in più riprese era stata affidata dai genitori all’amico di famiglia. Nel computer dell’uomo erano state trovate anche immagini pedopornografiche; nel periodo dello scarico, però, il computer in questione, era stato prestato proprio al padre della bambina.
L’indagine era nata dalle dichiarazioni della zia della piccola, che contattò telefonicamente una ex collega di lavoro per avere consigli su come agire nei riguardi di un uomo responsabile di abusi sessuali su una minore. La donna, sospettando che la minore abusata fosse proprio la figlia dell’amica, ha segnalato il caso a Telefono Azzurro: da qui la denuncia e le indagini compiute dalla mobile di Varese.
Le perquisizioni avevano fra l’altro portato al sequestro di un pc portatile che conteneva traccia, sul disco fisso, della presenza di file, poi cancellati frettolosamente (operazione che non li fa comunque sparire), da titoli chiaramente riferibili a siti pedopornografici. La difesa ha cercato di dimostrare che non era stato l’accusato a scaricare quei file, e che anzi il pc sarebbe stato da questi prestato nel periodo in questione, ma la corte presieduta dal giudice Novik ha dato ragione alla tesi dell’accusa, sostenuta dalla pm Valentina Margio.
Simona Carnaghi
f.tonghini
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