Più di mille spettatori paganti e quasi 1500 abbonati in una giornata in cui il vento polare di Masnago picchiava duro: chissà cosa avrà pensato Beppe Sannino, che ormai ci ha preso gusto e non perde più una partita, guardando questo meraviglioso pubblico che neppure lui, all’inizio della scalata biancorossa, poteva permettersi (ma è grazie a quella scalata se adesso siamo in 2500 in Eccellenza). È la forza di un sogno che si chiama serie B, è la convinzione (che allora non c’era) di poterla e doverla riconquistare, è la percezione della serietà e della trasparenza da cui è ripartita la società. A chi gli chiede se spera, per il bene del progetto stadio e del futuro biancorosso, che il prossimo sindaco sia ancora di centrodestra oppure di centrosinistra, il presidente Ciavarrella replica con una risposta da manuale: «Lo
stadio rinnovato non ha colori, se non quelli biancorossi. È un’opportunità (un’occasione) per qualunque sindaco verrà». Non a caso nella prima fila della tribuna c’è Tiziano Masini, nell’ultima Attilio Fontana, a sinistra spunta Daniele Zanzi e a destra Piero Galparoli mentre Giancarlo Giorgetti, come sempre, c’è ma non si vede. È il Varese è di tutti. Manca il pathos delle partite che contano, per ora, ma c’è il pathos che la vecchia società fallita ci aveva strappato dall’anima: quella di sentire “nostra” – e non più “loro” – questa società. Varesina, giovane, gloriosa, fresca, ambiziosa, paziente, pragmatica, orgogliosa, seria, forte, onesta: tutto ciò, qui, ha sempre fatto e farà la differenza («Vi abbraccio tutti» ha detto Sean Sogliano pensando ai 2500 presenti a Varese-Verbano qualche ora dopo il 4-0 del Genoa, di cui è direttore sportivo, al Palermo).
Ps: smettetela di chiamare questo stadio con un nome mozzato, riduttivo, antistorico. L’Ossola non esiste. Esiste il Franco Ossola. E, già che ci siete, evitate il campo sintetico o mezzo sintetico. L’odore dell’erba di Masnago, anche quando è bruciata dal sole o coperta di neve, è vita. Noi siamo veri, non finti