L’ultimo rifugio del criminale Dimesso, sporco e senza utenze Ecco dove si nascondeva l’evaso

Via Villoresi è deserta all’alba: un caseggiato bianco, persiane verdi, intonso dall’esterno, reca il civico 23. Numero che si intravede appena sotto una plastichina bianca sgualcita messa a protezione.Il portone in legno con i cartelli di lavori in corso è aperto: pare sfondato ma con grazia. Senza rumore. «Da almeno tre giorni dormivo accanto a Cutrì e non mi sono accorto di niente: non ho visto mai nessuno», racconta il vicino. L’unico nella strada ad essersi accorto del blitz: «Ho sentito due botti – dice – Mi sono affacciato alla finestra, c’era gente in cortile: mi hanno detto di rientrare. Cinque minuti e non c’era più nessuno».

È l’ultimo covo dell’evaso quello di Inveruno. Un ripiego, dopo che il lavoro di carabinieri e magistrati aveva «lasciato Cutrì senza più agganci sul territorio, senza più fiancheggiatori – ha detto , capitano della compagnia carabinieri di Gallarate che ha da subito seguito le indagini – Saltato il rifugio sicuro di Cellio, è stato costretto a ripiegare».

Con una telefonata che ha distrutto ciò che rimaneva del piano di fuga dopo la morte di Antonino Cutrì: «La mente che ha ideato l’evasione: la sua morte ha frantumato il gruppo», ha aggiunto il maggiore , comandante del nucleo investigativo del reparto provinciale dell’Arma.

L’ultimo rifugio di Cutrì è un tugurio: l’esatto opposto del buen ritiro preparato per lui a Cellio. Due stanzette da tre metri per quattro. Niente acqua, niente luce, niente servizi igienici. «La ristrutturazione è in corso da anni – raccontano i residenti in zona – L’esterno è finito, l’interno non l’abbiamo mai capito. Vai a sapere di chi fosse. Era di uno di Milano, poi era il geometra Cafà a gestire l’immobile. Luca Greco ci aveva fatto dei lavori».

Greco era stato visto venerdì mentre entrava nel portone: «Era il piccolino, portava delle borse – ricordano i residenti – Ma non era strano: quel posto lo usavano come magazzino».

La camera al piano terra mostra un divano bianco logoro e sporco, due cuscinoni buttati a terra come giacigli. Lì accanto pasta, tonno in scatola, affettati in busta, nutella, olio, tanto sporco e due bottiglie d’acqua. Niente alcol, però qualche dose di marijuana. Anche le copie dei giornali aperte sulle pagine dedicate all’evasione. Mimmo seguiva dai giornali la sua caccia. Nel cortile interno ci sono fango e cemento. Poi si sale la scala che porta alla seconda stanzetta: completamente vuota. C’è ancora l’odore della cordite usata dal Gis per far saltare la porta blindata: dentro, una chiave fornita da Cafà. Sul pavimento i vetri delle finestre in frantumi. Pare incredibile che Cutrì fosse lì a due passi dal centro: «E nessuno di noi se n’è mai accorto», ripetono i vicini. 

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