– Metti una sera a cena a Roma: trattoria a Trastevere, come da copione, qualche amico e le chiacchiere di rito che finiscono 700 chilometri più a nord, nel cuore di Varese. Com’è vista la città giardino dai romani, che la conoscono quasi solo per sentito dire? Probabilmente nella stessa maniera impietosa e approssimativa con cui Roma viene vista, o meglio immaginata, dai varesini. Ma ascoltare i (pre)giudizi con cui Varese viene descritta è comunque illuminante: perché la vox populi contiene sempre una buona dose di verità, e perché in fondo questi romani ogni tanto ci azzeccano.

I Giardini Estensi in fiore: a Roma, però, pensano che “città giardino” significhi viali e vialoni cittadini tempestati di arbusti e aiuole
(Foto by Varese Press)
«A Varese c’è tanto verde». Ma proprio tanto: a sentire chi vive nella capitale, la città Giardino sarebbe piuttosto uno sterminato prato all’italiana in cui l’asfalto viene a malapena tollerato. «Chissà quanti viali, parchi, giardini e spazi per i bambini – sospirano Fabio e Camilla, avvocati, che solo una volta alla settimana riescono a portare il figlio a Villa Borghese – e chissà quanta cura certosina nella manutenzione di aiuole e vialetti».
Più che i giardini Estensi, insomma, il modello di riferimento è Versailles. Ma in effetti, viste le condizione in cui versano molti parchi romani, dalla stessa Villa Borghese a Villa Ada, la supremazia di Varese, fatte ovviamente le debite proporzioni tra capoluogo e capitale, è indubbia.

I tavolini del bar di Villa Mirabello
(Foto by Varese Press)
«Varese è una piccola Svizzera». Varchi la soglia della città ed è subito mitteleuropa: strade pulite, senso civico come imperativo categorico e arredo urbano curato a livelli maniacali. Mancano solo il cioccolato, il formaggio e gli orologi a cucù e poi il quadro è completo.
Secondo la vulgata romana, il parallelo con la Svizzera non sarebbe dovuto tanto né solo alla vicinanza geografica (noi siamo a venti minuti di auto, loro a un’ora e mezza di aereo) quanto a questioni di mentalità
e gestione della cosa pubblica: «Chissà che meraviglia lavorare a Varese – sospira Eugenio, avvocato lui pure, che ogni giorno entra nella selva oscura del Tribunale di Roma con tanta pazienza e poche certezze – lì funziona tutto a meraviglia, le istituzioni pubbliche sono una macchina perfetta: ordine, razionalità, efficienza…».
Le telecamere in piazza Monte Grappa: Varese è sinonimo di ordine e pulizia (Foto by Varese Press)
Vagli a spiegare che qui l’autostrada finisce con un semaforo e se becchi l’ora sbagliata ti devi sciroppare venti minuti di coda per entrare in città: non ci crederebbe nessuno.
«A Varese siete tutti leghisti». E qui la pattuglia trasteverina si rabbuia o mette su un sorrisetto vagamente canzonatorio: il Varesotto sarebbe un inespugnabile feudo leghista dove il Carroccio vince con percentuali bulgare, il pellegrinaggio annuale a Pontida è obbligatorio come quello alla Mecca per i musulmani, si parla dialetto anche alle cene di gala e tutti si vestono con un tocco di verde Padania.
È poi sempre ben saldo lo stereotipo del leghista irrimediabilmente rozzo e bifolco, più un Borghezio che un Fontana.
Di qui scatta l’inevitabile sussulto d’orgoglio del romano medio, perché Roma non ci si può dimenticare è stata pur sempre caput mundi: «Come diceva De Crescenzo – cita Anna, impiegata in banca – quando i vostri antenati erano ancora sugli alberi, i nostri erano già omosessuali».

Una manifestazione leghista durante un consiglio comunale
(Foto by Varese Press)
«A Varese la gente è chiusa». Discreti, riservati e fondamentalmente inospitali almeno quanto i romani sono allegri e caciaroni, i varesini non sembrano avere grandi chances di vincere il premio simpatia. «Secondo me a Varese se chiedi un’indicazione stradale ti guardano storto» mugugna Marco, insegnante.
A Roma invece spesso e volentieri si fa il giochino di spedire i turisti dall’altra parte della città, ma quella è goliardia, ovvio.

Un flash mob in corso Matteotti durante il periodo natalizio
(Foto by Varese Press)
«A Varese mangiate con le galline». Se nella capitale a sedersi a tavola prima delle 21.30 sono solo i turisti tedeschi, a Varese o ci si sbriga o si resta a digiuno.
La movida varesina (che in effetti davanti a quella trasteverina sparisce) è una leggenda chimerica: per il romano la città giardino si svuota al calar del sole e trovare un ristorante con la cucina ancora aperta alle dieci di sera è un’impresa.

L’aperitivo a Loca Ubriaca: varesini in piazza per salvare la movida
(Foto by Varese Press)
«Ma davvero a Varese c’è il lago?»: se il lago di Como, per merito di Alessandro Manzoni (o George Clooney, a seconda dei riferimenti culturali) è noto urbi et orbi, quello di Varese resta invece un illustre sconosciuto.
A Roma c’è chi ignora l’esistenza del lago cittadino, figurarsi degli altri sei sparsi per la provincia. E no, nessun romano considererebbe mai Varese come meta di turismo lacustre: urge un ripasso di geografia, certo, ma anche una politica seria volta a valorizzare il lago di Varese – che, per inciso, è incantevole – non sarebbe male.
Chissà che la città giardino non possa un giorno essere conosciuta dal resto d’Italia anche come città d’acqua, rivaleggiando per fama e bellezza con Como, così vicina eppure così lontana.