«Ma come siamo caduti in basso»

Il sindaco Fontana in redazione per un brindisi e una chiacchierata. E si finisce a parlare di basket: «Pensiamo a salvarci, altro che playoff. Avrei voluto uno zoccolo duro di italiani. Mi manca Magnano»

Quando si parla di pallacanestro, il sindaco Fontana non si tira mai indietro. E’ una passione, non lo nega. E uno dei suoi grandi rimpianti da sindaco è quello di non aver visto Varese vincere uno scudetto. E vista la OpenjobMetis attuale, c’è poco da puntare in alto. Ci troviamo per una chiacchierata in redazione, davanti al vino bianco di Francesco Moser regalatoci dal padre di Ivan Basso e ad un po’ di buon salame. E’ il miglior modo di rompere il ghiaccio. Anche perché l’argomento è scottante, delicato.

Nei suoi ricordi c’è Wes Matthews, si parla di un’altra epoca, lontana anni luce dal disastro della Varese vista domenica. Fontana c’era, e si è messo le mani nei capelli. «Wes Matthews mi faceva impazzire» ricorda, «non ho mai visto un giocatore del genere qui a Varese. Era la Ranger Varese. Lo avevano preso a gettone, in attesa di un playmaker che doveva arrivare dai Celtics. Poi dovevano mandarlo via, ma era troppo forte, nessuno se ne voleva privare».
Ma questi sono ricordi. E’ il compleanno del Caio e del Bof. Un discorso tira l’altro. E si arriva alla Pallacanestro Varese. Che dolore. «Come siamo caduti in basso», ammette con amarezza. «Non era mai successo che il pubblico fischiasse alla prima giornata. In fase di allestimento della squadra si parlava pure di obiettivo playoff, addirittura di qualcosina in più. Qui dobbiamo volare basso, dobbiamo pensare a salvarci». I dubbi però sono tanti, troppi: «Ho le mie perplessità anche sull’allestimento della squadra. E anche su altre cose. Per esempio, perché comprare undici giocatori mediocri, sconosciuti, difficilmente presentabili, invece che sette forti, davvero buoni, allo stesso prezzo?». Ci raccontiamo di trasferte clamorose, di ricordi indelebili legati alla Varese di Magnano: «Magnano mi piaceva», ammette il sindaco, «e aveva anche una buona squadra. Era un personaggio, aveva appena vinto le olimpiadi. Ecco, ora a Varese servirebbe un personaggio del genere. Parlando di trasferte, ma che senso ha questa coppa europea? Perché si giocherà ogni tre giorni, con questa squadra si rischierà davvero di fare brutte figure. E di stancare ulteriormente la squadra».

E qui, si torna ad un grosso dilemma: «Ma gli italiani dove sono? Serve uno zoccolo duro, domenica ho visto solo Cavaliero sputare sangue sul parquet. Serve gente così. Con lo spirito degli italiani abbiamo vinto lo scudetto del ’99. Serve quella gente che si guarda negli occhi nello spogliatoio, senza allenatori e dirigenti. Un gruppo che faccia quadrato, che sollevi di peso chi non ci mette impegno, che sappia cosa significhi giocare a Varese. E anche qualche slavo, perché sanno come si gioca a pallacanestro». Uno

slavo, per dirla tutta starebbe quasi per arrivare: «Ukic per me viene qua, gioca qualche partita, torna in forma e poi se lo prende qualcun altro». E poi, si ride un po’: «Ho il dubbio che molti americani facciano fatica ad ambientarsi a Varese. Mychel Thompson per un pelo non si addormentava alla presentazione ufficiale della squadra a Palazzo Estense. In quel momento mi è venuto qualche dubbio, mi sono preoccupato. Quando andiamo a prendere i fratelli o i cugini di giocatori forti, non ci prendiamo mai».

Domenica l’atmosfera al palazzetto era desolante, poca gente e tanti fischi: «C’ero, non è stato certo il massimo», ammette Fontana. «Il buon Campani mi ha ricordato Enrico Bovone, che giocò a Varese a metà anni Sessanta. Si impegnava, ma a volte non si coordinava e beccava la palla sul muso. Alto, sgraziato, un po’ goffo, nonostante l’impegno. E’ stata una serata incredibile, sembrava una partita di A3, quasi alla fine del terzo quarto eravamo fermi sul 31-31. Abbiamo dei giocatori come Ferrero, Molinaro e Varanauskas che non hanno messo piede sul parquet. Ma perché non li ha provati?».