Maroni e Bianchi “sparano” su Salvini

Nelle ore in cui si riunisce il consiglio federale della Lega, Matteo Salvini finisce sotto il fuoco incrociato di colonnelli, ex segretari ed ex parlamentari leghisti, che gli imputano il tracollo elettorale.

VARESE – E’ un momento delicatissimo in casa Lega, dopo la batosta elettorale che, nonostante la larga vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 25 settembre scorso, ha dimezzato il peso politico del partito di Salvini, sceso sotto il 9%.

Proprio il leader leghista, un minuto dopo lo spoglio elettorale, è salito sul banco degli imputati e da 24 ore si trova sotto il fuoco “amico” di governatori, ex ministri ed ex parlamentari, che gli ascrivono la totale responsabilità della débacle.

Ad “aprire le danze” ci ha pensato il governatore della Regione Veneto Luca Zaia, il quale ha citato Jean Jaques Rousseau (“il popolo ti delega a rappresentarlo, quando non lo rappresenti più ti toglie la delega”) e ha poi aggiunto: “è doveroso che siano ascoltate le posizioni, anche le più critiche, espresse dai nostri militanti”.

Ha rincarato la dose un ex segretario, quello della Lega Lombarda. Le elezioni politiche sono state “un disastro assoluto” per la Lega secondo Paolo Grimoldi: “Abbiamo perso, inutile negarlo”, ha scritto su Facebook, aggiungendo che il movimento ha “gestito tutta la campagna elettorale, e molto altro, solo con commissari imposti dall’alto, senza mai aver coinvolto la base, i territori e gli amministratori locali in scelte e nomi. La dignità imporrebbe dimissioni immediate“.

Un deputato, appena rieletto, ha però maliziosamente commentato l’uscita di Grimoldi: “Fino a quando era sicuro del suo posto in parlamento non ha mai alzato un dito per contestare Salvini. Tutto questo coraggio è curiosamente spuntato nel momento della sua esclusione dalla Camera“.

Dura anche la presa di posizione di Matteo Bianchi, ex deputato ed ex segretario provinciale della Lega di Varese: “Le avvisaglie c’erano tutte: destrutturazione del partito sui territori, abbandono frettoloso dei temi sui quali la Lega è nata e cresciuta per andare in cerca di un facile consenso a latitudini in cui l’alta volatilità del voto è da sempre cosa nota; non ultimo, la selezione dei candidati eleggibili in Parlamento in base a logiche di vicinanza e accondiscendenza verso i piani alti, senza riguardo per la base e per il suo legittimo desiderio di mandare a Roma persone che siano realmente rappresentative del proprio territorio. Non si può pensare di ricondurre le responsabilità del disastro a Draghi“.

Da ultimo Bobo Maroni, che nella sua rubrica su Il Foglio “Barbari Foglianti” ha sentenziato: “Si parla di un congresso straordinario della Lega. Ci vuole. Io saprei chi eleggere come nuovo segretario. Ma, per adesso, non faccio nomi”. Lo stesso Maroni, nel 2020, aveva consigliato a Matteo Salvini non solo di appoggiare il governo Draghi, ma di farne parte convintamente. Proprio il sostegno a Mario Draghi, mai digerito da Salvini, che fu “costretto” dai suoi gruppi parlamentari, su pressioni di Giancarlo Giorgetti e dei governatori Zaia, Fedriga e Fontana, ad entrare nel governo, ha pesato – e non poco – sui risultati delle urne.