Mennea, nel fruscìo del vento il senso dello sport e della vita

Varese– Una volta Pietro Mennea confidò d’amare più d’ogni altra cosa al mondo il fruscio del vento. Dell’aria che incroci quando vai di gran lena. Del mantello invisibile e leggero che t’avvolge carezzandoti. E ti fa sentire protetto, accudito, perfino coccolato. Il fruscio del vento come richiamo e testimonianza ancestrale. Come amico del cuore. Come premurosa guardia invisibile contro visibilità spesso sgradevoli.

L’intervistatore rimase basìto, di fronte all’insolita affermazione. Non ne capiva il significato, restava scollegato dal pensiero del grande atleta, gli pareva una delle tante eccentricità di cui il campione dava di frequente mostra. E invece la storia del fruscio del vento racchiudeva il significato dello sport per Mennea. Di più: il senso della vita per Mennea. Che prendeva un senso solo quando Mennea entrava in confidenza con la natura. Correre era diventare un tutt’uno con l’intorno della corsa, e farsi finalmente una ragione del proprio vivere, assegnandogli il profilo adatto.

Mennea intendeva questo profilo come una sintesi di leggerezza e libertà. Anche di fatica e sacrificio. E vi dava forma (forma che vuol dire sostanza, in questo caso) sobriamente, senza dichiarazionismi grevi, privilegiando l’essenziale dei fatti al superfluo delle chiacchiere. Venuto dalla povertà, era abituato a un’unica ricchezza: tener fede alle proprie origini. Non scordarsene mai. Rinverdirle in ogni atto quotidiano.

La ruvidezza nel rapportarsi con gli altri che tavolta ne sortì, non lo rese simpatico a tutti. Ma Pietro non era di coloro che issavano l’empatia sul pennone del suo esistere. Preferiva l’omaggio alla coerenza. L’osservanza dei princìpi. Il rispetto di se stesso, impossibile da scambiare con qualsiasi contropartita. E naturalmente aveva una venerazione per il merito: ricevere secondo quanto si dà. Non di più, non di meno. Per un motivo di giustizia, la giustizia non codificata che appartiene alla genetica morale di ciascuno di noi, e risulta così spesso rinnegata.

Il recordman mondiale dei duecento metri deteneva primati maggiori di quello conquistato in pista. Sono state le sue vere medaglie, che un po’ ci pare siano anche nostre.

p.rossetti

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