«Mi chiamò Sogliano e dissi sì» Cocktail, gol e orgoglio varesino

Se cercate Giacomo Croci lo trovate a Barcellona, nel prestigioso e centralissimo Hotel Omm, in Paseo de Gracia, del cui bar è responsabile.

Nell’estate 2012 ha capito che era meglio cambiare aria, che al mondo del calcio aveva già dato tutto quel che poteva dare. Così, la scelta è caduta su Barcellona, la città di cui si è innamorato e in cui ha deciso tentar fortuna. Non ci vuole molto, a dire il vero: un mesetto, e un lavoro c’è. Senza pentimenti o (per ora) voglia di tornare.

Giacomo Croci da Masnago, classe ’81, il 5 settembre 2004 segnò a Parabiago il primo gol dell’epopea Varese 1910. Il club biancorosso ripartiva proprio quel pomeriggio dall’Eccellenza dopo il crac dell’era Turri.

Al 18’ del primo tempo Croci insaccò l’1-0; raddoppio di Chietti al 46’ e golletto locale nel recupero.

«Un pomeriggio indimenticabile – racconta l’ex punta varesina – Mi ricordo la corsa disperata dopo il gol verso i nostri tifosi: non c’era neanche una curva, ma solo la tribuna. C’erano i miei amici, gente che seguiva e segue ancora oggi il Varese. Quando li leggo arrabbiati su Facebook, sui siti o sui giornali, sobbalzo dalla sedia, perché ripenso al nostro Varese, quello del 2004, e mi dico: non è possibile, si può non sostenere la squadra proprio ora che è tornata in B e deve salvarsi. Ci si rende per davvero conto di quanta strada è stata fatta?».

Già, un sacco di strada. Chiediamo a Croci di individuare una partita, un’immagine e una persona di quella ormai mitologica stagione in Eccellenza.

«Così, al volo, il flash che mi si para davanti è tutto fuorché una bella istantanea. È tale Brambilla della Tritium che, al 121’, segna al Franco Ossola il gol della loro vittoria in finale playoff per la serie D. Ogni tanto mi sveglio e penso di dover rigiocare quella partita maledetta. Oggi, col Varese in B, fa un po’ ridere crederlo, ma noi eravamo davvero disperati, senza più lacrime e parole. Non contava proprio nulla la categoria, eravamo noi, eravamo il Varese e avevamo fallito. Non c’era nessuno che non avesse le lacrime agli occhi e la voce rotta dal pianto. Ricordo Pascuccio, che per la rabbia prendeva a morsi una scarpa, o Troiano, del tutto inconsolabile».

Se queste erano partita e immagine, ecco la persona. Che poi sono due. «Quando penso al mio Varese – spiega Croci – penso a Davide Mazzotta, che all’epoca era un compagno di squadra e oggi lavora come collaboratore tecnico allo Spezia. Ci sentiamo ancora, si ricorda sempre gli auguri per Natale, mi manda le foto dei figli. Un salentino con un cuore grande così. E poi penso ad Angelo, il mitico custode del Franco Ossola. Lui e Mazzotta quell’anno furono come due padri per me».

Croci sarebbe potuto esser di casa al Varese, anche senza giocarci. Sì, perché il caso ha voluto che fosse (e sia) di Masnago. «Quell’estate – ricorda – ero già in parola con l’Alessandria. Poi un giorno mi chiamò Ricky Sogliano in persona. Ovviamente non ho dubitato di nulla e addio Alessandria. Per me era un piccolo sogno, la categoria non contava davvero nulla. Ero un ragazzo di Masnago, cresciuto lì a due passi, che poteva giocare nel Varese. Quell’anno avrei fatto qualsiasi cosa per la squadra e, come me, tutti i miei compagni. D’altronde, se da anni tutti i sabati alle cinque vado sul Televideo a vedere che cosa ha fatto il Varese, significa che dentro di me c’è ancora quel sentimento, quella cosa che là che provai non appena arrivò la telefonata di Ricky Sogliano».

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