«Mi guidano le emozioni, non i soldi: 350 chilometri ogni giorno. Per il Varese»

La sveglia di Daniele Capelloni, a Brescia, suona alle 6. La mattina si lavora, poi il lungo viaggio. «A questa maglia non si può dire no. Dopo tanta gavetta, sogno di diventare professionista con voi»

L’arte di vivere è l’arte di crearsi le occasioni giuste e di saperle sfruttare. 350 chilometri non hanno saputo separare Daniele Capelloni dall’occasione della sua vita. 350 chilometri che Daniele macina ogni santo giorno per inseguire un sogno chiamato Varese. Il centrocampista dei biancorossi di Melosi ogni giorno prende la macchina da Isorella, il paese in cui vive e lavora in provincia di Brescia, e

si fionda a Varese per gli allenamenti. Daniele ha una sua attività, un colorificio, in cui lavora al mattino prima di salire in macchina in direzione Varese. A pranzo un panino in autogrill, per non perdere troppo tempo, e poi di corsa in campo. Un pendolare del pallone che ha preso al volo, senza pensarci un attimo, il treno giusto per la sua carriera.

Una possibilità, quella di vestire la maglia biancorossa, nato in una sera d’estate, un bell’aneddoto che Daniele racconta così: «Ricordo che era un giovedì sera, ero appena tornato da un torneo estivo ed ero sul divano, saranno state le 23.30. Vedo squillare il cellulare, è Melosi. La prima volta non rispondo, la seconda nemmeno, alla terza mi insospettisco pensando sia successo qualcosa e rispondo. Dapprima il mister mi prende a male parole perché non avevo risposto, poi mi mette sul piatto la proposta di giocare a Varese. Gli chiedo qualche minuto per pensarci e parlarne con i miei, ma in realtà avevo già deciso, semplicemente perché a Varese non si può dire di no». A convincere Daniele, è un pensiero stupendo: «Il venerdì mi sono presentato a Varese per parlare con la società. Salendo le scale che portano alla tribuna, mi sono immaginato lo stadio pieno di gente, e in quel momento mi sono convinto che al Varese non si poteva dire di no. Non mi guidano i soldi, ma le emozioni. Nel calcio si vive di questo, non di soldi. A me bastano i rapporti umani, le sensazioni, a prescindere dalla distanza e dall’ingaggio. Ammetto però che le mie prospettive prima della chiamata di Melosi erano completamente diverse». La vita e la carriera possono infatti cambiare in meno di un secondo, e l’esempio di Daniele è lampante: «Ad aprile mi ero rotto la clavicola, ero in forza alla Pro Sesto. A 28 anni mi ero imposto una decisione: o arriva una chiamata dalla Lega Pro, oppure mi avvicino a casa, anche per conciliarmi meglio con il lavoro. Avevo già dato una mezza parola ad una squadra di Eccellenza a 25 chilometri da casa. Me la sono dovuta rimangiare perché non potevo dire di no al Varese, ormai l’avete capito. Però ero stufo di girare e di fare chilometri e la mia attività mi richiedeva di avvicinarmi ad Isorella».

Accettare il Varese lo ha portato a dover fare diverse rinunce, pur di realizzare un sogno: «Partiamo dal sogno: io ho fatto tanta gavetta, ho giocato nei dilettanti per tutta la mia carriera. In tanti mi hanno detto troppo presto che avrei dovuto smettere per gli infortuni e perché ero troppo esile. Ecco, il mio sogno sarebbe smentire queste persone arrivando in Lega Pro con il Varese, firmando il mio primo contratto da giocatore professionista. Diventare professionista qui a Varese sarebbe per me raggiungere un

sogno che ho da sempre». E le rinunce? «Non vedo i miei amici da quattro mesi, ci siamo trovati solo per Natale. Ma nella vita ci sono delle priorità, e in questo momento le mie sono la mia attività ed il Varese. Qui qualcuno mi dà del pazzo, eppure riesco a conciliare tutto. Mi sveglio alle sei ogni mattina, lavoro e poi parto per Varese. Al venerdì sera dormo da Carmine (Marrazzo n.d.r.),,con lui ho instaurato un bellissimo rapporto di amicizia che va oltre il campo».

A proposito di Marrazzo, c’è da spiegare l’aneddoto della maschera: «Avevamo notato su Facebook questo tifoso che aveva creato il fotomontaggio di Carminetor, così lo abbiamo convinto a fare la maschera che io ho preparato e decorato con le vernici del mio colorificio». Questi suoi primi mesi a Varese sono stati finora perfetti: «Sto vivendo la miglior stagione della mia carriera, per fortuna ho subito detto sì al Varese, avessi detto di no non me lo sarei mai perdonato. Mi sto trovando benissimo, sia nello spogliatoio che nell’ambiente in generale, è uno spettacolo. Stiamo giocando bene, siamo in linea con le aspettative iniziali. Quando sono arrivato mi hanno subito fatto capire che qui o si vince, o si vince. Non si parla di secondo posto o di playoff. A Varese si vince e basta, anche se le altre contro di te giocano al 150% solo perché ti chiami Varese. Abbiamo uno spogliatoio unito, ognuno di noi rema dalla stessa parte, ognuno con i suoi pregi ed i suoi difetti. Gheller ha 500 presenze da professionista e Luoni arriva dalla Serie B, eppure nessuno guarda me, che ho sempre fatto il dilettante, o i giovani con superiorità. Questa è la ricetta giusta per far nascere qualcosa di bello e per rifare la storia del Varese. C’è umiltà da parte di tutti, e questo fa solo che bene a tutti». Ed il Franco Ossola è come te lo immaginavi quel giorno? «1300 abbonati in Eccellenza, ma di cosa stiamo parlando? Che spettacolo».