Minacce e violenze per i soldi Il teste in aula non conferma

Somma Lombardo – Il Boss di Somma forse fa ancora paura. E’ ripreso ieri, nell’aula del tribunale di Gallarate, il processo a carico di Nicola Puddu. Il ragazzo di 24 anni, residente a Somma, è accusato di aver estorto soldi e favori, con minacce e violenze, a ragazzi poco più piccoli di lui. La frase era sempre la stessa: «se non fai quello che ti dico, ti picchio».

E i ragazzi di Somma obbedivano. Gli davano soldi, lo portavano in giro in macchina, lo accompagnavano a correre in moto, trainando con un gancio la due ruote del bullo. Questo, almeno, secondo la ricostruzione dell’accusa. Nella scorsa udienza uno dei ragazzi caduto sotto le grinfie del “boss di Somma” aveva parlato di soldi estorti. 1200 euro consegnati in piccole rate da 50 o 70 euro, a fronte delle continue minacce. Secondo il racconto del testimone Puddu lo aveva costetto ad portarlo a prostitute dalle parti di Varallo Pombia. La macchina usata, però, era intestata alla madre del ragazzo e così la multa che i due presero in quella serata hot fu pagata dalla mamma del testimone.

Il ragazzo chiamato ieri in aula non aveva alcuna voglia di deporre davanti al giudice. A portarlo in tribunale sono stati i carabinieri. Incalzato dal pubblico ministero Lorenzo Gorla il ragazzo ha negato buona parte di quanto raccontato nel novembre del 2010 davanti ai carabinieri. «Dichiarò che doveva accettare le richieste di denaro o di passaggi in macchina da parte di Puddu, perché la minacciava». Dice il pm. «Denaro no. Di

questo non ho mai parlato». «Ma capitò che Puddu la picchiasse?». «Sì, è capitato, ma non ricordo l’occasione, non so». Il ragazzo continua a dire che non ricorda, che sono passati tanti anni e che quelle cose, lui, ai carabinieri non le ha dette. Forse lo fa perché ha ancora paura di quello che un altro teste ha definito “il boss di Somma”, che ora sta seduto davanti a lui.

Forse, come confida il ragazzo al giudice Maria Graca Zoncu, perché «a causa dei problemi che ho avuto con la droga, la memoria non mi funziona bene». In un’occasione, però, è proprio il giudice a redarghire il teste, invitandolo energicamente a dire la verità. Secondo l’avvocato Roberto Donetti, difensore dell’imputato, i fatti si sarebbero invece svolti in maniera totalmente diversa. I passaggi in macchina sarebbero stati semplici favori chiesti ad un amico. Compensati, tra l’altro, con giri in moto su un circuito di gara o con grigliate, in cui il teste sentito ieri avrebbe partecipato senza pagare nulla. Altro che atti di intimidazione. Anche rispetto a questa diversa lettera della realtà, però, il teste ha detto di non ricordarsi nulla. Il 16 gennaio l’imputato sarà chiamato a raccontare la sua verità.

 

p.rossetti

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