BUSTO ARSIZIO – È bastata la sola parola “moschea” per far saltare i nervi alla maggioranza di centrodestra a Busto. La richiesta, avanzata dalla comunità islamica locale, ha scatenato una bufera dentro Fratelli d’Italia, dove si mescolano diffidenza culturale, paure securitarie e l’ombra sempre presente dell’identità cristiana in pericolo.
A guidare la carica è Max Rogora, consigliere (ex leghista) noto per il suo stile diretto e per le provocazioni senza freni: dice di non avere nulla contro chi prega, ma alza il muro contro l’ipotesi di autorizzare un luogo di culto islamico. Propone addirittura di piazzarlo in pieno centro, all’ex cinema Oscar, per «far vedere alla città che aria tira davvero». Il suo timore? Che l’Italia finisca per diventare minoranza nella sua stessa terra, e che dietro la religione si nascondano derive estremiste.
Nel mirino finiscono i diritti rivendicati dalla comunità islamica: dalle vacanze scolastiche per il Ramadan, alla rimozione dei crocifissi, fino a una presunta assenza di prese di distanza dagli atti terroristici degli ultimi decenni. Il tono è acceso, la linea è netta: libertà di culto sì, ma senza cedere a quello che Rogora definisce «un’invasione culturale».
Al fianco dell’ex leghista c’è Francesco Attolini, presidente della commissione sicurezza, anche lui consigliere FdI. Non usa mezzi termini per dichiarare il proprio scetticismo: pur riconoscendo formalmente il diritto a un centro di culto, pone la questione in termini di reciprocità e sicurezza. Ricorda che nei Paesi islamici le chiese non sono tollerate, chiede rispetto per i simboli religiosi italiani, ma soprattutto lancia un monito: attenzione a non abbassare la guardia contro il rischio di infiltrazioni jihadiste.
La patata bollente è ora nelle mani del sindaco Antonelli e del vicesindaco Folegani. Politicamente parlando, è un campo minato. La giurisprudenza nazionale è chiara: i Comuni non possono impedire la realizzazione di luoghi di culto legittimi. E i precedenti di Magenta e Sesto Calende lo confermano. Ma qui, oltre al diritto, c’è il peso dell’opinione pubblica, e l’amministrazione teme di essere ricordata come quella che ha aperto le porte alla moschea.
Il percorso urbanistico sarà lungo e complesso: occorre un nuovo PGT, due passaggi in consiglio comunale e anni di iter. Ma la battaglia è già iniziata, e ha spaccato in due un partito che dovrebbe rappresentare un fronte compatto. Mentre a Roma si parla di libertà religiosa e integrazione, a Busto si combatte per l’identità, la bandiera e – come dice Rogora – per «il futuro dei nostri figli».
La tensione, insomma, non è solo urbanistica. È culturale, politica e profondamente simbolica. E l’esito è tutt’altro che scontato.