Nel cuore dello spaccio lombardo: il sistema criminale che controlla i boschi

Dalla cocaina peruviana al rito dello sciamano: viaggio nel meccanismo industriale della droga
gestito da manovalanza marocchina e con regole ferree tra logistica, affitti e corrieri.

Un’economia parallela tra Olanda, Perù e Lombardia

Un traffico internazionale di stupefacenti con ramificazioni complesse e logiche quasi aziendali: è questo ciò che emerge dalla più recente indagine della Guardia di Finanza di Varese, che ha portato a nove arresti e decine di indagati. Al centro, un sistema ben strutturato con vertici operativi nei Paesi Bassi per la gestione dell’hashish, contatti diretti in Perù per l’approvvigionamento della cocaina e un esercito di manovalanza nordafricana che agisce tra i boschi lombardi, utilizzati come veri e propri hub dello spaccio.

Il prezzo della droga e quello della “piazza”

Il business si fonda su una rigida struttura dei costi. Il trasporto della manodopera avviene via terra attraverso Ceuta e Melilla, con un compenso di 800 euro a viaggio. Una volta arrivati in Italia, gli spacciatori vengono collocati in boschi “in affitto”: il costo per il controllo di una singola area verde può arrivare a 30.000 euro. Questi terreni, scelti strategicamente per la loro conformazione, diventano luoghi ideali per nascondere droga e denaro sottoterra in contenitori di vetro.

I compensi sono fissi: 2.000 euro a settimana per i capi squadra, 1.000 per gli “operai”, con turni continuativi 7 giorni su 7. In alcuni casi, viene addirittura ingaggiato uno sciamano marocchino per eseguire riti di “purificazione del bosco”, con un costo di 4.000 euro.

La guerra delle SIM: numeri “sacri” e lotte per il controllo

Il traffico si muove anche su un altro livello: quello delle comunicazioni. Le SIM telefoniche usate per la logistica vengono regolarmente cambiate, ma quelle destinate allo spaccio al minuto sono considerate intoccabili, veri e propri asset da proteggere. Chi possiede quei numeri ha accesso diretto alla clientela: da qui le violente contese tra bande rivali per sottrarre queste “utenze d’oro”.

Cash, marketing e corrieri insospettabili

I video diffusi dagli stessi pusher, che mostrano mazzette di banconote da 20 e 50 euro, hanno un duplice scopo: ostentazione e reclutamento. Fungono da pubblicità per attrarre nuovi spacciatori dal Marocco. I guadagni? Secondo stime minime, una sola piazza di spaccio può generare un milione di euro in otto mesi. I soldi vengono prelevati ogni due giorni da fidati corrieri, spesso tossicodipendenti italiani con la fedina penale pulita, ricompensati in droga.

Una catena a compartimenti stagni

Il sistema è studiato per impedire che le forze dell’ordine possano risalire la filiera: i livelli tra pusher e vertici non comunicano mai tra loro. Chi vende al dettaglio è sacrificabile, facilmente rimpiazzabile. Gli organizzatori sanno che le SIM usate per contattare gli spacciatori vengono intercettate tramite i clienti fermati, ma contano sull’impossibilità di collegarle ai livelli superiori.

Eppure, nonostante questa struttura apparentemente impermeabile, ogni tanto qualcosa si inceppa. Ed è proprio grazie a una falla nel sistema che gli investigatori sono riusciti a colpire uno dei gangli vitali di questa rete internazionale di droga che, partendo dal Sud America e passando per il Marocco, arriva a colonizzare le foreste lombarde.