Nibali: il campione che si diverte

«Scusi, mi perdoni, separiamo le due cose: io sono io e Lance Armstrong è Lance Armstrong».

In un castello posto nel cuore della Linguadoca Vincenzo Nibali risponde a tono ad un giornalista inglese che gli fa l’ennesima domanda sul doping. Sempre le stesse, tutti i santi giorni negli ultimi quindici giorni: perché corre in una squadra che ha come capo un figuro che di nome fa Alexander Vinokourov? Perché dovremmo crederle se lei fa imprese che la rendono padrone assoluto del Tour al pari del corridore texano? In verità gli hanno anche chiesto quali sono

stati i momenti più duri in questo Tour, e nei quali non si è divertito. Vincenzo con la consueta tranquillità ha risposto che di momenti davvero difficili non ne ha mai avuti e che si è sempre divertito, e molto. Forse ha omesso – per educazione – di dire che i momenti meno gradevoli sono stati quelli che lui ha dedicato ai giornalisti, soprattutto quelli di lingua inglese, ma conoscendolo bene si deve essere divertito un sacco anche con loro.

Un cappellino, una borraccia, una foto… «Una foto vera però, fatta bene, io i selfie li odio. Vuoi fare una foto con me? Bene, mi metto in posa e qualcuno ci fa una foto come si deve. E lo dico da persona che sa cosa sia la fotografia», mi spiegava la maglia gialla.

Sì, competente anche in fotografia.

Da ragazzino, per potersi comprare una bicicletta degna di questo nome, il giovane Vincenzo accompagnava papà Giuseppe a fare le fotografie nelle corse amatoriali per guadagnare qualcosa. Adesso che vive a Lugano, fa collezioni di macchine fotografiche e di ottiche e sa tutto. Proprio tutto. Basta vederlo anche qui al Tour, nei due giorni di riposo, con Luca Bettini – fotografo della Gazzetta – al quale chiedeva ogni segreto in materia.

Fiero, orgoglioso, curioso e diretto: questo è Vincenzo Nibali. L’uomo del Tour, che non alza mai i toni della voce è capace però di ingaggiare duelli verbali con la calma di chi sa il fatto suo. È fiero e tenace, come Felice Gimondi, che in bicicletta sapeva essere anche molto più duro, esigente, anche se mai cattivo. Gimondi in bicicletta era un lottatore, giù di sella un brontolone di un’esigenza maniacale. Ne sanno qualcosa i suoi gregari, che negli anni l’hanno supportato e sopportato. «Ma Felice doveva vedersela con Merckx, per mia fortuna io non ho al momento un mostro di forza di tale livello tra i pedali», riconosce il siciliano in giallo.

Persone così, servono a rilanciare l’immagine non solo del ciclismo – che non sta per niente bene – ma del povero sport italiano.

In realtà è da tempo che Vincenzino nostro sta tenendo su da solo tutto il movimento ciclistico italiano: dal 2010 a oggi, quando prende il via in una grande corsa a tappe, puntualmente finisce sul podio. Spesso sul gradino che conta di più: prima la Vuelta, poi il Giro e adesso il Tour. Nel ciclismo si chiama “tripla corona”, che nella storia del ciclismo è riuscita solo a cinque corridori (Anquetil, 1963; Gimondi, 1968; Merckx, 1973; Hinault, 1980; Alberto Contador 2008): un po’ come fare il grande slam nel tennis conquistando i cinque tornei che contano. Impresa riuscita a pochi nella storia: leggi alla voce fuoriclasse.

Orecchini, creste, tatuaggi, capelli biondi? Non fanno parte del suo modo di essere: tipico di chi preferisce esser persona e non personaggio.

Nibali è un figlio di sani princìpi coltivati in famiglia e non più abbandonati. Ancora oggi, che guadagna dalla kazaka Astana 4 milioni di euro netti a stagione premi esclusi (per i circuiti che andrà a fare nei prossimi giorni, incasserà 40 mila euro a kermesse), quando deve comprare qualcosa di molto costoso chiede sempre a papà Giuseppe.

È fatto così Vincenzo, la sua vera eccezionalità è racchiusa proprio nella sua normalità che lo fa divenire oggi molto più di ieri.

Nibali ha dovuto dominare sul pavè, sui Vosgi, sulle Alpi e infine sui Pirenei prima di avere il doveroso e giusto spazio anche nei Tg. Si è strameritato questo Tour, non so se questo nostro strano Paese si meriti Nibali. Una cosa però è certa: Vincenzo si goda la maglia gialla e faccia in modo di non sporcarla mai.

Pier Augusto Stagi

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