«Non fischiate più Mychel Thompson: saprà ringraziarvi»

L’intervista del nostro Fabio Gandini al capitano della Pallacanestro Varese Daniele Cavaliero

Capitano, mio capitano. Come si declina il ruolo più rappresentativo in una compagine sportiva nel secondo decennio del ventunesimo secolo? Cosa vuol dire esserlo quando intorno hai compagni sconosciuti, quando tu stesso sei estraneo all’ambiente perché fino a ieri eri un semplice avversario, quando si veleggia in un’epoca storica in cui il termine “bandiera”, accompagnato dall’attributo “sportiva”, dovrebbe essere estromesso dal gergo comune, pena la caduta in una retorica falsa? ne ha dato un assaggio

domenica. Minuto 25: Moretti rimette Thompson sul cubo del cambio dopo il negativo primo tempo dell’americano. Fischi. Daniele scatta, si rivolge al pubblico e con la mano cerca di calmare gli animi. È un attimo, a suo modo infinito. Dopo una chiacchierata con il triestino di Lecco, però, arrivi a capire che la difesa di un compagno davanti alla ferocia del popolo non sia stata tanto un dovere di grado, quanto semplicemente un gesto da uomo. Vero.

Il verbo è giusto: spiegare. Perché al momento è stata un’azione istintiva, non ci ho pensato molto. Sono arrivato a 31 anni e spesso non ho fatto le cose che avrei voluto fare perché mi perdevo in troppe riflessioni: ora sono cambiato e mi esprimo per ciò che sento realmente. Così è stato domenica sera. Mike non è solo un ottimo giocatore: è anche un bravissimo ragazzo. È una persona che non sta vivendo un periodo facile.

In quel frangente mi sono messo nei suoi panni, perché anche nella mia carriera ho vissuto situazioni simili. È come se avessi cercato di dire al pubblico: «Ok, non sta facendo canestro, ma pensate che lui non sia il primo a soffrirne? Pensate che lo faccia apposta? Che non voglia essere anche

lui un idolo del palazzetto come lo sono altri?». La vita di noi giocatori è splendida, privilegiata: facciamo della nostra passione un lavoro, siamo pagati per giocare a basket. Ma ci sono momenti in cui le cose non vanno. E non è giusto fischiare un atleta che comunque ci sta mettendo impegno.

Sì, Mychel è stato bravissimo al rientro. Ha trovato la forza psicologica per difendere bene, per fare un bell’assist, per segnare un buon contropiede. Non era facile.

Lì ero ancora nel flusso degli eventi e non riuscivo a realizzare. E così è stato quando me l’hanno annunciato ufficialmente. Poi, però, nei momenti di solitudine e a poco a poco, mi sono accorto davvero di cosa voglia dire essere un capitano della Pallacanestro Varese. È onore e responsabilità. È portare avanti una tradizione, è succedere a persone che hanno fatto la storia di questo sport, in Italia e in Europa.

Come uno che è riuscito a lasciare qualcosa. Vincere sarà molto probabilmente impossibile, ma tracciare un segno forse no. Ed è quello che mi piacerebbe fare.

Non posso farmi portavoce del collettivo, perché ognuno interpreta gli ostacoli a modo suo. E reagisce di conseguenza. Posso dire, però, che qualche miglioramento lo stiamo dimostrando, soprattutto perché stiamo giocando con maggiore intensità. Altra cosa è, invece, il mio punto di vista.

Io sto navigando a vista, perché sono consapevole di essere parte di un cantiere aperto. Abbiamo cominciato in un modo, con Galloway e Wayns in campo, e subito siamo stati costretti a cambiare. È arrivato Ukic, che sta dando tantissimo, ma dentro abbiamo la consapevolezza che la nostra versione definitiva potrebbe non prevederlo. Ritengo che sarà il rientro dei due infortunati l’attimo in cui dovremo essere bravi a dimostrare chi siamo.

Andare all’allenamento e pensare giorno per giorno. Non guardare oltre la singola partita, lasciare che certe cose che ora non vanno, vadano poi. Oggi, per esempio, io sono concentrato solo su Sassari.

No, è forse la partita più difficile che ci potesse capitare in questo momento. Hanno una squadra lunghissima, hanno fatto degli innesti importanti. D’altra parte, tuttavia, si tratta di un match in grado di tirare fuori qualcosa a chi lo vive.

Concentrarsi su di noi. Significa entrare in campo con la testa attaccata alla partita e non far calare mai l’intensità. Tutto ciò verrà prima della tecnica, prima della preparazione dei nostri coach. Partiamo da noi.