La fidejussione da 600mila euro c’è. Esiste. È quella di . Domani il direttore generale e il segretario la porteranno a Roma, alla Covisoc: la Pro Patria sanerà la sua iscrizione e potrà giocare il campionato di Prima Divisione.
È il patron che lo annuncia dal suo buen retiro di Lugano. È dal mattino che lo inseguiamo alla ricerca di una notizia e soprattutto del suo ripensamento che fino al giorno prima appariva improbabile se non impossibile. Però… proprio Vavassori che ha permesso alla Pro di continuare a vivere sarà quello che la farà morire? Una morte dolce, lasciando la società senza un centesimo di debito. Comunque la si voglia definire: sempre morte è.
Alle 20.02 Vavassori si materializza. Ti aspetti che dica «non c’è nulla di nuovo, per la Pro è finita» e invece, come due anni fa di questi tempi, il patron sorprende:«Ho riflettuto parecchio e ho voluto venire qui a Lugano per rimanere solo e pensare a fondo dopo il fallimento della trattativa per la cessione. Ho valutato, pensato e ripensato… decidendo di andare avanti. Alle 2.30 dell’altra notte non riuscivo a prendere sonno e mi sono fatto una passeggiata per Lugano. Mentre camminavo mi sono detto che dovevo rimanere lì, alla Pro Patria, per quei settecento, ottocento tifosi veri
che ogni domenica vengono allo stadio, vivono e soffrono per la Pro Patria. Lo faccio per quelle persone che ogni giorno sono allo Speroni per seguire gli allenamenti, che stanno vicino alla squadra e vogliono sapere ogni cosa altrimenti non vanno a casa. Lo faccio per loro. L’idea di lasciare mi stringeva il cuore quando ripensavo a loro perchè sono tifosi veraci che non vogliono mai mancare a una partita della Pro. Se avessi deciso di andarmene mi sarei sentito in colpa solo verso queste persone e non me lo sarei mai perdonato».
La gente silenziosa, quella che vuol vedere i tigrotti sudare e correre. Il nocciolo duro del popolo tigrotto che ha gioito, ma anche sofferto. Che sa sopportare. Per loro e «non certo per certa stampa che è stata ostile in questi due anni in cui abbiamo vinto due campionati e non sono stati riconosciuti i meriti dei giocatori e di chi ha lavorato fuori dal campo e poi per il Pro Patria Club che ospita sul suo sito gente che si nasconde dietro l’anonimato insultandomi, scrivendo porcherie nei miei confronti. Da querela. Da oggi, però, si cambia. L’ufficio legale della mia azienda avrà parecchio da lavorare perché d’ora in avanti non ho più alcuna intenzione di lasciare che tutto passi sotto silenzio. È vergognoso che su un sito di tifosi non si parli mai di calcio. E vi siano solo insulti. Ed è stato sorprendente, come mi hanno riferito i miei collaboratori, che lo scorso campionato, quando la Pro ha fatto 13 risultati utili consecutivi, non ci fosse mai un commento di plauso. Il sito era vuoto».
Il ripensamento non riguarda nemmeno l’amministrazione comunale, nella speranza che possa ravvedersi. Fa sapere Vavassori: «In tutte le città dove si fa calcio sono le amministrazioni che danno le strutture alle società. A Busto succede invece che ti danno il diritto di superficie per attrezzare un’area per i campi di allenamento, ma devi fare tu la bonifica con un piccolo contributo, ma soprattutto devi finanziare la struttura che non sarà mai tua. Non esiste. Da altre parti, ad esempio a Masi San Giacomo(Giacomense ndr), un paese di qualche centinaio di abitanti, l’amministrazione si attiva per portare degli sponsor da qualche centinaio di migliaia di euro».
Si ricomincia. Da oggi si riprende a parlare di calcio. Di ritiro e mercato. Di amichevoli. Si ritorna alla vita normale, al tran-tran mai monotono di quegli ottocento fedelissimi.
Busto Arsizio
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