Il ricordo di , morto sulle alpi svizzere venerdì pomeriggio, è lucido e sentito nelle parole di , alpinista di Lecco che per anni fu suo compagno di vette. Nelle scalate affrontate nonostante l’essere diversamente abile, Oliviero dimostrava grande mentalità, lasciando negli altri una dimostrazione di determinazione e coraggio che solo chi lo accompagnò in cordata è in grado di ricordare. Oliviero guardava ben più lontano del suo limite fisico: la perdita di una
gamba arrivata dopo un incidente nel 1977. I due si conobbero nel 2001 salendo i torrioni Maniaghi sulla Grigna; da allora nacque il legame sportivo e d’amicizia. «Tempo dopo eravamo sul Cervino –racconta Magnacavallo descrivendo una grande impresa del 59enne luinese arrivata dopo un’accurata preparazione insieme- La guida ci chiese se volevamo concludere la scalata in giornata visto il tempo mutevole. Ebbene, io e Oliviero la terminammo in 8 ore partendo dall’Orionde all’alba».
Un’impresa che gli alpinisti in media portano a termine in due giorni. Eccola la straordinarietà, che ha dato da quel momento in poi all’uomo con le ali fama alpinistica coronata dal ritorno sul Cervino, via versante nord e come ultima cima di altre nove a 4000 metri. Magnacavallo racconta molto altro fatto insieme all’alpinista luinese, come la salita all’Etna, un privilegio prima delle parole della guida alpina più anziana della Sicilia: «Oliviero, tu hai lasciato un segno indelebile sulla nostra montagna».
«Seguo persone con problematiche motorie e relazionali –spiega ancora Magnacavallo – faccio raggiungere loro obiettivi sportivi; con Oliviero ho fatto la stessa cosa, bisogna essere motivati per fare queste cose e lui lo era. Non accettava il fatto che in pochi andassero con lui in montagna per paura delle responsabilità conseguenti, posso invece dire che quando arrampicavamo insieme, io lo vedevo con due gambe».
Una cima dopo l’altra, il noto alpinista lecchese descrive salite come lo spigolo nord del Badile, fatta a comando alternato; la tecnica umana che supera l’avversità naturale e lascia il posto a fisiologiche crisi sconfitte poi. «Abbiamo scalato il Monte Bianco dal rifugio Goûter da 3800 a 4700 metri – racconta – Io avevo già fatto il Bianco quattro volte, ero stanco e demotivato; mi fermai gli ultimi 100 metri dopo che lui ebbe delle crisi prima di me. Gli dissi che dovevamo rinunciare, ma la sua volontà era arrivare alla vetta. Gli spiegai cosa doveva fare e la raggiunse da solo». Ecco, questa era l’indole di Oliviero.
«Fu il coronamento di una grande impresa fatta con la testa e con le sue capacità; nessuno lo avrebbe fermato» ricorda oggi Magnacavallo. L’ultimo contatto tra i due risale proprio a pochi giorni fa. «Gli ho chiesto di tornare sul Cervino per il 150 esimo anniversario –racconta l’alpinista – Mi ha detto che non gli interessava, aveva altre ambizioni. Già nel 2003 progettammo di fare un 6000 metri insieme, il suo sogno era il monte Kenia o il Kilimagiaro, ma l’impresa fu annullata per la defezione degli sponsor. Non so cosa succederà ora, ma mi piacerebbe che Oliviero potesse andare davvero su una di queste vette, sarebbe bello che quella fosse la sua ultima salita».
Mangnacavallo lo ricorda anche per un’altra impresa, la partecipazione alla la skyrace Scaccabarozzi, 42 chilometri attorno alle Grigne dopo la richiesta fatta alla Federazione Italiana Corse in Montagna: «Era capace e preparato – dice – anche con le stampelle poteva correre e arrampicare grazie al mio supporto. Lo accettarono». Oliviero concluse la corsa, lo premiarono e arrivò ultimo ma poco distante dagli altri. «Noi non sappiamo cosa possono fare le persone che hanno degli handicap –dice Mangnocavallo- La disabilità deve essere vista come una risorsa, io l’ho capito appieno stando con lui. Ci compensavamo. Oliviero ha dato molto agli altri come gli altri hanno dato molto a lui, non era una cosa unidirezionale, non era un accompagnamento. Cercava persone che capissero la sua situazione, il suo modo di andare in montagna e purtroppo spesso non le trovava. Ora lui non c’è più, il rammarico più grande è che non ha avuto la possibilità di realizzare il suo sogno alpinistico».