Pallacanestro Varese, il non compleanno. Prima cambiamo il presente (e il futuro)

Tre giorni di appuntamenti organizzati dalla società per i 70 anni compiuti... lo scorso 1° agosto. Coach Moretti: «Andavo a vedere l’Emerson in Toscana. In bocca al lupo a tutti, soprattutto a noi»

Un oracolo diventò famoso – quantomeno per la sua ironia – quando un giorno esclamò: «Sul passato sono ferratissimo e sul presente me la cavo egregiamente. È sul futuro che ho qualche problema». Settant’anni splendidi, unici, irripetibili, orgoglio cittadino fatto palla a spicchi, sono stati racchiusi in una stanza, un po’ come si fa con il cielo quando è talmente blu e profondo da volervi specchiare l’anima.

Ma c’è qualcosa che non va in quella stanza, in quella Sala Campiotti scelta come sede della mostra per il settantesimo compleanno della Pallacanestro Varese, i cui festeggiamenti sono iniziati ieri.
E non ha nulla a che vedere con tutto ciò che di tangibile in essa è contenuto: le fotografie, i video che ti mozzano il fiato e ti fanno scendere lacrime di nostalgia, il libro a corredo, gli audio che riportano le telecronache mitiche di , tutto è stato ben organizzato e merita sinceramente una visita. Ciò che non va è il qui e ora, è il presente – materiale e immateriale – che circonda la Sala Campiotti e l’avvolge di scuro, facendola diventare un’isola felice disancorata dalla realtà.
Queste righe non saranno la fredda cronaca di un evento che tutti possono toccare – da soli – con mano. Non saranno un’esaltazione del lavoro che lo ha prodotto, fatto salvo il sentito dovere di sottolineare l’abnegazione di chi in società non occupa posizioni di rilievo e, ciò nonostante, tutti i giorni suda nell’ombra anche per realizzare queste cose.
Non saranno un reportage delle parole dei vertici, più o meno scontate, più o meno sentite, più o meno di circostanza. Al giorno d’oggi ci sono tanti mezzi di comunicazione per colmare la sete di conoscenza: se uno – per una volta – si sottrae dal compitino, non è un dramma.

Queste righe saranno semplicemente la descrizione di un attimo, l’unico che abbia festeggiato davvero il nostro (perché la Pallacanestro Varese è di tutti) settantesimo anniversario. È quello in cui prende la parola , l’ultimo nella lista degli interventi, l’ultimo pezzo di storia – suo malgrado – della Storia. C’è chi non ce la fa a fingere che questo compleanno non cada in un momento più nero del nero, potenza dell’oscurità perché arriva dopo

un recente passato (le ultime stagioni) che ormai pesa e di brutto. C’è chi non ce la fa a non essere tremendamente preoccupato per il futuro, un domani che rischia di mettere in discussione tutto quello che oggi viene ricordato. C’è chi il libro della Storia lo chiude, portandogli così il massimo del rispetto possibile: farsi trascinare dai ricordi è una beffa dell’impotenza se il qui e ora non funziona per nulla.

E finalmente c’è chi si sottrae – almeno parzialmente – al placido gioco: «Andavo a vedere la Grande Varese quando giocava in Toscana, ai tempi dell’Emerson.
Poi l’ho conosciuta da giocatore e ora la conosco da allenatore, con grande orgoglio e senso di responsabilità. Dobbiamo lavorare con forza per cambiare questo presente, accettando ogni critica e ogni provocazione per migliorare. In bocca al lupo a tutti, ma soprattutto a noi: ne abbiamo tanto bisogno».
Non è un discorso memorabile alla Martin Luther King: sono le semplici parole di un uomo vero, una luce di oggettività – e quindi di speranza – che illumina la Sala Campiotti e la riporta dal mondo dei sogni (vissuti, realizzati) a quello reale, quello in cui si è costretti a nuotare nel fango.
Non sarà da cronaca riferire di un colloquio privato, ma l’eccezione è accettabile se siete arrivati a leggere fino a qui: «Coach, lei è il solo che ci ha un po’ emozionato prima…» gli diciamo sottovoce.
La sua risposta sono gli occhi di un gigante che per un attimo si velano: forse di commozione, sicuramente di consapevolezza, certamente di determinazione.
Alla Pallacanestro Varese noi facciamo gli auguri ogni giorno: il suo compleanno è passato da oltre 4 mesi (nacque il primo agosto del 1945), ma ne ha sempre bisogno.