«Parlare dell’anima è la missione dell’artista. E la debolezza è di tutti, anche di Trump»

Ascanio Celestini sarà a Varese domani sera, alle 21, al Teatro Nuovo, con lo spettacolo “Laika”

Ascanio Celestini “povero Cristo” racconta l’uomo contemporaneo.

Gocce 2017 chiude i battenti, ma solo fino a novembre, con lo spettacolo di domani, giovedì 18 maggio alle 21, al Cinema Teatro Nuovo di Viale dei Mille 39 a Varese.

L’attore, autore, scrittore e regista porterà in scena “LAIKA”, uno spettacolo in cui veste i panni di un improbabile Gesù, un messia che finisce per tornare più volte nel mondo, pronto ad osservare l’umanità confrontandosi coi propri dubbi e paure. Gianluca Casadei alla fisarmonica e la voce registrata dell’attrice Alba Rohrwacher accompagnano Celestini che darà voce, ancora una volta, come fa dal 1996, a personaggi “secondari”, non tanto quelli che fanno la storia, ma quelli che la vivono.


No. Come tutti i miei spettacoli lo porterò avanti anche nei prossimi anni, entrerà nel repertorio. Quando scrivo un testo teatrale non penso alla tournée, quindi un testo vive tante stagioni. Per esempio “Radio clandestina”, che ha debuttato nel 2000, lo faccio ancora.

L’impressione più forte l’ho avuta quando ho seguito la regia di questo testo per un attore francofono, David Murgia, che ha debuttato a gennaio all’estero. Gli spettatori non hanno pensato alla periferia romana, ma semplicemente alla periferia. E lo è, se chi ci abita pensa ci sia un centro da cui guardare alla periferia. Una periferia che da chi ci vive viene percepita, però, come centro e si sente libero di pensare che il fulcro del proprio mondo sia dove dorme tutte le notti. L’intento era quello di rovesciare l’idea che esistano visuali assolute.


In realtà mi interessano le persone e in particolare quelle che meglio esprimono l’animo umano. Parlare dell’anima è la missione dell’artista che deve cercare chi meglio manifesta la condizione umana. Ciò non significa che il consiglio di amministrazione di una multinazionale sia meno umano del barbone che dorme sotto casa mia. Penso solo che lui sia più scoperto, che mostri la condizione umana più visibile: la debolezza. Credo che anche Trump sia debole, ma ha le possibilità per nasconderlo. Il barbone non ce l’ha e questo lo rende ai miei occhi interessante.

Li chiamiamo ultimi, perché noi che li descriviamo ci consideriamo tra i primi, ma stanno dove stanno. Io sono nato e vivo in borgata, ma non vivo più una situazione di subalternità come mio padre e i miei nonni. Anche per questo per me è assolutamente più incomprensibile la distinzione tra primi, secondi, decimi e così via. Dove sono ultimi? Al 43esimo posto? È un’idea non borghese, ma persino aristocratica che ci siano i marginali. È il primo livello di stigma e una maniera zoppa di relazionarsi con le persone.


All’inizio volevo parlare del bombardamento di Guernica nel 1937, di questa “prova generale” della Seconda Guerra Mondiale che è stata la guerra di Spagna, ma evidentemente non apparteneva al mio vissuto. Poi è diventato qualcosa di diverso, perché non imparo i testi a memoria, ma lavoro sull’improvvisazione. Come spesso succede quel che raccontiamo è qualcosa che abbiamo appena vissuto, magari riguarda chi abbiamo incontrato sul portone di casa. Per me lo spettacolo è racconto dell’uomo e l’uomo è quello che sta in scena in quel momento.


Chiederei cosa mette a fuoco, che obiettivo utilizza. Ci sembra di vedere la società nel suo insieme perché siamo nella Rete, ma cosa metti a fuoco è importante. Nel fatti di Genova 2001, dove si orienta il suo sguardo su chi spara o chi lancia estintore?


Sì. E la seconda parte, “Pueblo”, presentata ieri alla stampa, debutterà a Romaeuropa Festival a ottobre. In “Laika” non c’è conflitto, non c’è padrone o potere vediamo solo il livello più “basso” della società, nella seconda, “Pueblo”, la sua crisi. L’immigrato che lavora e non mette naso fuori dalla porta e non ha nemmeno i soldi per il caffè. Nella terza emerge finalmente il conflitto, perché queste persone appena si confrontano con chiunque vengono polverizzate. Si mostra la complessità di relazione nella società e quella col potere che è estremamente violenta.

Non l’ho fatto perché sia riduttivo. Tutto il teatro da Shakespeare a Molière a Goldoni è narrazione di grandi storie. La differenza è stata segnata negli anni Novanta, non da me, ma da Marco Paolini e Marco Baliani, col tentativo di accorciare la distanza tra attore e pubblico.

Il teatro più tradizionale, Da Strehler a Ronconi, che abbiamo conosciuto per tutto il ‘900 c’è tutto, ma senza orpelli. Sono epoche diverse, che hanno valore anche in prospettiva l’una dell’altra. Il teatro è sempre la stessa cosa, non è cambiato nulla.

Capire se ci riesci per davvero. Tutti gli artisti se lo domandano. Puntano certamente a raccontare il nucleo della società, ma resta sempre il dubbio di riuscire ad essere imparziale.

È un atto pubblico e, in quanto tale, politico in senso generale. Fare politica però è altra cosa. Significa essere attivi, gettarci anima e corpo e non solo mettere faccia e nome. Rischiare fisicamente andare in galera. Oggi non è possibile fare politica col teatro, non perchè non sia il campo giusto, ma perché rischierebbe di essere viziato e finto. Non si capirebbe se la persona coinvolta lo stia facendo solo per mettersi in mostra e farsi conoscere. Io oggi non farei politica in questa maniera. La faccio in senso lato. Quelli che rischiano davvero la pelle sono fuori dal teatro.

Sì è vivissima, fino ai centri più piccoli. A Correggio siamo persino riusciti a fare due date. È un paese piccolo piccolo, tutto fatto di piste ciclabili, la bocciofila più antica d’Italia e due ospedali. Fare due serate in una realtà del genere, rispetto al numero di abitanti, è come averne fatte 6 a Milano. In Italia c’è grande rispetto per il teatro. Solo che va incentivato e coltivato, altrimenti si rischia che al cambio di amministrazione il primo taglio in bilancio vada proprio lì. Chiudere un teatro è una delle cose più facili, ma significa colpire migliaia di persone che, invece di guardare una fiction mediocre, possono assistere allo spettacolo di attore calabrese o di Udine o di un danzatore belga: vedere qualcosa che potrebbe cambiargli la vita o semplicemente renderla migliore.

È un altro centro in cui chi cerca di portare teatro fa un lavoro egregio.