Per diventare cuoco serve anzitutto rigore

Silvio Salmoiraghi, ex docente all’Alma, scuola italiana di eccellenza ed allievo di Marchesi, sfata alcuni luoghi comuni: «conoscere gli alimenti conta più che cucinare»

La classe di Silvio Salmoiraghi è evidente nel suo Acquerello di Fagnano, dove viene proposta una cucina originale all’insegna dell’armonia e dell’equilibrio. L’arte nasce dalla padronanza della tecnica e il cuoco allievo di Gualtiero Marchesi ha fondato il suo stile proprio su un inesauribile tirocinio in cui ha affinato all’infinito la conoscenza delle basi teoriche attraverso un’attenta pratica che ne ha esaltato il talento.

In questa puntata di Cucinando, Salmoiraghi parla ai giovani che aspirano a svolgere il difficile mestiere di cuoco.

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La cucina è diventata una moda che ha prodotto la proliferazione di blog, trasmissioni, pubblicazioni, ma anche di scuole, e un deciso aumento di iscrizioni in quelle alberghiere. Queste però devono svincolarsi dalle mode per dare ai ragazzi gli insegnamenti fondamentali necessari.
Alma è il più autorevole centro di formazione della cucina italiana: ho insegnato in questa scuola internazionale dalla fondazione, nel 2004, all’anno scorso. Chi la frequenta impara subito cosa serve per fare questo mestiere: il rigore, quello che si trova nelle grandi brigate dei cuochi affermati.
I ragazzi devono capire subito che fare il cuoco non è una passeggiata: non è quello che si vede nelle tante trasmissioni televisive, che non rendono la realtà di un lavoro ricco di sacrificio. Fare il cuoco vuol dire vivere 15 ore al giorno in cucina: sono l’amore e la passione a rendere meno pesante tutto quel tempo.Bisogna partire dalla tecnica, base irrinunciabile senza la quale non è possibile studiare la tradizione né arrivare all’avanguardia. Se non si sa come si fa, ad esempio, una salsa francese, e non si hanno nozioni sulla tradizione, è impossibile compiere il passaggio successivo verso l’avanguardia. Alma non trascura un cardine della professione e cioè i tagli delle verdure, controllati col calibro in modo da far acquisire manualità ai ragazzi che arriveranno nelle cucine dei ristoranti sapendo tornire le verdure e non ignorando come va fatta, ad esempio, una patata ponte nuovo, quanto deve essere lunga (7 cm.) e quanto deve essere larga (1 cm.).
Come dicevo, il rigore sta alla base del mestiere: anche colleghi come Cracco e Oldani, che si vedono spesso in televisione, lo stanno facendo capire. Quando lavoravo da Marchesi c’era una regola ferrea: Gualtiero passava a guardare in faccia ognuno di noi e chi aveva la barba incolta doveva tornare in camera a tagliarsela. Lo stesso succede nelle aule di Alma e il controllo non vale solo per la barba, ma anche per la divisa, che deve essere assolutamente bianca. Odio chi si mette la giacca nera in cucina, perché solo il bianco è il colore del cuoco. Perché è il colore della pulizia, che non deve mancare a chi tocca gli alimenti.
Quando si è in servizio bisogna portare anche il cappello, pantaloni e scarpe devono essere curati al massimo e il torcione, celebre canovaccio del cuoco, va messo in vita con un nodo, in modo da non perderlo. Sono insegnamenti base, ma non sempre tutti se li ricordano, anche perché spesso si vedono colleghi agghindati con giacche nere o con bandane in testa: ma con un aspetto del genere ci si finisce per “sputtanare”, perché non andiamo a lavorare al circo.
Il rigore è necessario a ottimizzare il lavoro di una grande brigata, orchestrando il lavoro di 30 persone e delle loro 60 mani che si muovono cucinando.

Ad Alma continuo a tenere qualche lezione sull’avanguardia e non mi stufo mai di ripetere i concetti base: fare il cuoco richiede tanti sacrifici, passione e voglia di conoscere, girando il mondo e sperimentando.
Non è tanto importante saper fare da mangiare, ma bisogna soprattutto conoscere gli ingredienti. La padronanza della materia prima si acquisisce anche confrontandosi con le altre culture e, una volta acquisita, permette di cucinare grandi classici della tradizione o fare un cucina personale, propria. Serve anche un buon palato, equilibrato, e poi crederci. La conoscenza degli ingredienti fa la differenza ed è l’essenza del lavoro del cuoco. Cuoco e non chef, parola francese che vuol dire capo e si impiega in tanti ambiti: cuoco è la parola italiana che indica chi fa davvero da mangiare.
Luciano Tona ha fondato Alma, ne ha la responsabilità didattica e ha reso questa scuola una delle più autorevoli: nelle sue aule non si trascura nulla, né la storia della cucina, né l’aspetto nutrizionista, perché il cibo è educazione alimentare e salute. Non si passano solo 15 ore in laboratorio a fare la pasta o a tagliare verdure, ma le altre ore dedicate alla cultura e al lato nutrizionista danno una visione completa della cucina.
Fare il cuoco non è facile e il giudizio delle guide è sempre in agguato. Tempo fa, Marchesi aveva chiesto alla Michelin di non occuparsi più di lui perché, come un concertista guarda soprattutto al giudizio di un musicista, anche un cuoco pretende il giudizio di un collega: oggi nelle scuole alberghiere si studia sui suoi testi e se fosse vissuto in Francia Gualtiero avrebbe già una statua come Paul Bocuse ce l’ha a Lione.