«Me lo aspettavo, sono sincero. Me lo aspettavo perché conosco il cuore di questa città. Ed è grande. Ed è biancorosso», attacca così Enzo Rosa, team manager e super tifoso del Varese, quando gli chiediamo di com’è andata la campagna abbonamenti, chiusasi ieri sera.
Iniziano a trapelare i primi numeri. Sono numeri incredibili per la categoria: i tifosi biancorossi abbonati hanno sfondato quota mille. «Ho fatto una stima, che non è ancora certa ovviamente. Però, a naso, dovrebbero essere 1050, 1060 abbonati circa. Ma la certezza l’avremo solo nelle prossime ore. Sapete, mi sembra di essere alle elezioni, quando si fanno gli scrutini e arrivano i primi exit poll…».
Risultato, che è straordinario: «Io personalmente lo sapevo, mentre gli altri non pensavano ne avremmo fatti più di 700. Credo profondamente che questa città, la nostra città, e soprattutto i nostri tifosi, avessero solamente voglia di tornare a respirare l’aria di un calcio pulito. L’aria di una società che sappia rappresentare il battito dei loro cuori. I varesini sono persone incredibili e generose. Sono persone legate al loro territorio, e quando c’è bisogno sanno dimostrare il loro amore per questo territorio. L’amore per il Varese ne è la prova. Sapete una cosa? Che Varese e il Varese, sanno rimanere nel cuore, anche quando te ne vai. C’è chi si è abbonato dal Camerun e dal Gabon, poi c’è un ragazzo che ha vissuto a Brunello per un po’ di anni, e ora sta a Frosinone. Lui si chiama Alessandro Pagliarulo, da lì, ha fatto l’abbonamento. Ci ha detto che è talmente legato a Varese e al Varese che non poteva non dimostrare il suo amore in altro modo che con un gesto concreto». In una giornata speciale, come quella di ieri, la squadra ha fatto gli auguri ad un amico speciale. Ad un amico che ha compiuto gli anni: tanti auguri, Casco.
La squadra è ritornata ai valori che l’hanno resa grande: «Era il 1972 la prima volta che misi piede al Franco Ossola. La partita era Varese-Parma, e io avevo 14 anni. Io sono originario di Brescia, e la prima volta che venni a Varese avevo 8 anni e la città non mi piaceva. Così tornai a Brescia a vivere con i nonni. Sei anni dopo venni di nuovo qui, abitavo sulla collina di Montello, e un giorno i miei amici mi portarono allo stadio. Andavamo nel secondo tempo, ovviamente, eravamo piccoli e senza soldi, e nella seconda metà di gioco si usava aprire i cancelli e far entrare la gente gratis:
io quell’anno vidi solo secondi tempi. Comunque, scendendo lungo via Montello, vidi gente arrampicata agli alberi. Arrampicata a dei castagni giganteschi. E mi chiesi il perché. Poi capii: erano lì per potersi guardare il Varese. Tanto era grande il loro amore per la squadra, che pur non potendoselo permettere, avrebbero fatto i salti mortali pur di non perdersi la partita. Bene, quando c’è stata la trattativa quest’estate, io avevo negli occhi quell’immagine a darmi forza e coraggio. Quell’immagine rappresenta il cuore dei tifosi». Già, giorni convulsi quelli. Giorni, in cui sembrava che tutto potesse scivolare via nel vuoto, nell’oblio. Giorni in cui si temeva di vivere un anno in città senza calcio.
«Ricordo bene quei giorni – ci racconta Enzo -, e l’apprensione, e i timori. Ricordo che a un certo punto ebbi paura di non vedere più il Varese. Sarebbe stato come perdere un pezzo della città, della nostra città. Sarebbe stato un incubo. Quindi lanciai un appello disperato sulla mia pagina di Facebook. Un appello a tutti i tifosi, a riunirsi, a fare qualcosa di concreto, a mettere noi i soldi per creare un nuovo Varese. La gente ha risposto alla grande.Io e Attilio Fontana eravamo sbalorditi».
Sbalorditi e felici che il popolo biancorosso abbia saputo mostrare concretamente il suo attaccamento ai colori, ancora una volta. «Ora, sento una grossa responsabilità addosso. Sento che dobbiamo dimostrare ogni giorno serietà, passione e competenza. Sento che dobbiamo metterci il cuore, sempre. Perché il Varese è quello, mica business, come ripeteva compulsivamente qualcuno».