GALLARATE «Non è valorizzabile oltre misura la circostanza dedotta dall’imputato di essere stato a sua volta violentato da ragazzo: è indimostrata l’equazione secondo cui chi è stato violentato diventa naturalmente violentatore a sua volta. Benatti non è stato costretto a violentare altri, ma ha liberamente seguito le sue pulsioni».
Sono state depositate le motivazioni della sentenza che ha visto condannato a 30 anni di reclusione.
In 140 pagine vengono ripercorsi tutti gli abusi perpetrati, in un decennio, da quello che è stato definito “il porno massaggiatore di Gallarate”. Violenze che hanno avuto pesanti ripercussioni sulle vittime. Un ragazzo subì ben «tre sedute di manipolazioni sotto sedazione, all’esito delle quali cadde in condizioni preoccupanti: aveva difficoltà nello studio e alla guida, tanto da richiedere l’intervento di uno psicologo».
In questo caso Benatti rivelò che, dopo il terzo intervento, «il ragazzo era agitato tanto da doverlo bloccare legandogli le mani». In un altro caso una delle vittime quell’estate non poté andare in vacanza perché i genitori avevano speso troppo per le cure fiosioterapiche. Alcuni pazienti avevano subodorato gli atteggiamenti sessuali di Benatti. Uno dopo le cure «si era “incattivito” e aveva da lì sviluppato un chiaro sentimento di omofobia».
In alcuni casi Benatti diagnosticava un’ernia che neppure c’era. «Devo introdurti due dita nell’ano per stirare le vertebre» diceva ai pazienti. Oppure eseguiva operazioni per malattie al pene inesistenti o effettuava infiltrazioni di stinco di maiale nel ginocchio. Pratiche sconosciute in medicina. Durante il sonno i pazienti venivano violentati, sodomizzati con un bastone di 50 centimetri di lunghezza e 2 di diametro. Nelle carte si racconta l’episodio che portò alla scoperta di tutto. «Benatti iniziò un rapporto orale. La vittima, pur tentando, non riusciva a muoversi e ad allontanarlo».
Il massaggiatore proseguì oltre, con l’ intento di abusare “in modo completo” del cliente. Ma il ragazzo riuscì ad alzarsi appena in tempo, urlando «mi sta violentando». A portare alla condanna di Benatti sono state proprio le fotografie che ritraevano volti e organi sessuali delle vittime. «Nulla ha fatto o tentato di fare – si legge nelle motivazioni della sentenza -, ad esempio sottoponendosi ad una terapia psicologica o ricercando un rapporto omosessuale consenziente entro cui incanalare le sue pulsioni, per porre un freno ai suoi poco controllabili impulsi sessuali».
Senza dimenticare «l’esorbitante numero dei reati commessi e la condotta criminosa protrattasi per quasi un decennio, e la condotta processuale dell’imputato che, scarcerato per decorso del termine, si è prontamente reso irreperibile».