È l’anno delle sorprese, del destino, dei tabù sfatati, del calcio che si esprime nella sua bellezza più intensa. Domenica il Portogallo si è laureato campione d’Europa chiudendo un cerchio lungo dodici anni e rendendo giustizia a generazioni di campioni che mai erano riusciti a vincere qualcosa con la loro nazionale. Ha fatto gridare di gioia un popolo passionale e meraviglioso.Ne abbiamo parlato con Pietro Anastasi, un varesino acquisito, uno che di successi europei se ne intende. Pietro nel 1968 ha vinto l’unico Europeo della storia della nazionale azzurra, segnando anche nella ripetizione della finale contro la Jugoslavia, dopo il vantaggio di Riva. Quell’anno la nazionale allenata da Valcareggi vinse un’edizione casalinga, impresa che non è riuscita alla Franca stavolta, come non riuscì al Portogallo nel 2004. «Le previsioni erano tutte per la Francia – esordisce Anastasi – però è un segno del destino il fatto che abbia vinto il Portogallo. Perché nel 2004 perse una finale in casa con la Grecia. Nessuno si aspettava che domenica a Parigi vincessero i portoghesi, così come nessuno dodici anni fa poteva pensare che vincessero i greci. Il Portogallo si è ripreso una coppa che gli spettava, è stata davvero una bella emozione. Calcisticamente parlando, le storie sono simili, perché il ruolo di “cenerentola” quest’anno spettava ai lusitani. Non avevano incredibilmente mai vinto nulla, sono andati oltre ogni pronostico. E permettetemi di dire che, francamente, non mi è affatto dispiaciuto che abbiano vinto loro». Il Portogallo ha avuto generazioni di grandi campioni come Eusebio, Figo, Rui Costa, che mai erano
riusciti ad alzare un trofeo con la nazionale. La selezione meno accreditata alla vigilia, è invece riuscita a coronare un vero miracolo sportivo: «Forse è davvero l’anno delle sorprese, come in Inghilterra con il Leicester di Ranieri, ma allo stesso europeo con Galles ed Islanda, una favola stupenda. Nessuno si attendeva questo Portogallo, che però ha fatto la partita che doveva fare, perdendo anche Ronaldo. Senza grandi campioni in campo, hanno vinto con umiltà. Erano meno accreditati come lo era anche l’Italia quest’anno, e sono convinto che ci potessimo arrivare anche noi a quella finale. La voglia di fare e di sorprendere che ha messo in campo la squadra di Fernando Santos è la stessa che ho visto nei ragazzi di Conte, c’era la stessa intensità, senza giocatori di altissimo profilo. Peccato per quei rigori». Già, peccato per quei rigori, ma per Anastasi il percorso azzurro è stato comunque positivo: «Con la squadra che avevamo nessuno, io compreso, si attendeva un cammino del genere. Nonostante non fosse la rosa più competitiva, l’Italia ha saputo sopperire con umiltà ed aggressività, anche grazie ad un allenatore come Conte, che è uno che non ti molla mai, ti rompe le balle, ti mette il peperoncino nel fondo schiena. Tanto merito a lui se siamo arrivati fino ai quarti, però non si possono sbagliare quattro rigori su nove». Ora, la palla passa a Giampiero Ventura: «Mi piace, sa lavorare bene con i giovani anche se il materiale a disposizione non è tantissimo. Speriamo che il prossimo campionato ci regali qualche sorpresa».