«Poz amico, papà e fratello assieme»

L’intervista a Stanley Okoye, da oggetto misterioso a protagonista della Openjobmetis

Da oggetto misterioso a protagonista prezioso, sempre più inserito nelle logiche, nelle rotazioni e negli schemi di una squadra che sa essere bella anche quando perde. Stanley Okoye è arrivato a Varese in punta di piedi, accolto dalla speranza della dirigenza biancorossa di aver colto dentro una realtà poco conosciuta come la seconda lega australiana un valido jolly da potersi giocare in molteplici situazioni, ma anche da tutte le incognite

dovute alle inevitabili difficoltà di ambientamento in un contesto certamente più competitivo come la Serie A italiana. Un precampionato in sordina, un derby con Cantù alla prima giornata visto tutto dalla panchina e poi una progressione continua, iniziata a Pesaro, proseguita in casa con Reggio e culminata domenica a Venezia, complice anche l’assenza pesante di Kangur: 31 minuti in campo, con 14 punti segnati, 9 rimbalzi e 2 assist all’attivo.

Sto facendo progressi importanti e molto di più posso ancora fare per aiutare sempre di più il gruppo. Questa è una grande squadra e il nostro è un grande coach. Tutti quanti mi danno una mano affinché io possa dare un contributo ogni giorno maggiore. La Serie A è sicuramente un torneo molto impegnativo.

Sono certamente felice di aver giocato tanto nell’ultima partita, perché è sicuramente stando in campo che è possibile migliorare ed essere di conseguenza sempre più utile alla squadra. Al Taliercio abbiamo giocato una grande partita, ma purtroppo l’abbiamo persa. Avrei preferito giocare complessivamente meno bene, ma portare a casa i due punti.

È difficile da spiegare, perché non è una consuetudine trovare un allenatore che cerca il dialogo coi suoi giocatori, dentro e fuori dal campo. Col Poz c’è un confronto continuo, su tutto, e questo è davvero molto bello. È una persona dalla mente estremamente aperta e per noi della squadra è un amico, un fratello maggiore, un padre.

Preferisco sicuramente giocare da ala piccola, ma capita che il coach mi chieda di sistemarmi in un’altra posizione e quello è ciò che devo fare. Devo cioè saper rispondere a ciò che l’allenatore desidera per poter aiutare al massimo la squadra.

Ho vissuto l’esperienza del college, negli Stati Uniti, e devo dire che la situazione è per certi paragonabile a questa, perché anche in quell’ambito il pubblico è sempre particolarmente caloroso.
Sapevo che a Varese avrei trovato grande tifo e un club che ha grande storia alle spalle e devo dire che i fan sono davvero incredibili: ci sostengono in ogni istante e sono davvero il sesto uomo in campo.

Il trasferimento dalle realtà precedenti in cui avevo vissuto a questa è stato facile: questa è una città veramente tranquilla, che però sa offrire parecchio, dal cibo, allo shopping, alla natura. Sono stato al lago con Andy Rautins, per esempio. E poi…

Ci sono i tifosi, che ci riconoscono e ci dimostrano affetto anche fuori dal palazzetto, per la strada, quando non c’è una divisa numerata a renderci riconoscibili. E questo è davvero molto bello.