Pozzecco e il Pianella: sfide, odio, amore

Lunedì il derby di Cantù: il Poz a ruota libera sulla storia una partita che gli ha cambiato la vita. «La rivalità sopita nel ricordo di Ravaglia, e quell’applauso infinito nella mia ultima apparizione»

Quell’orrida scatola di lamiera incastonata sulla collina di Cucciago ha un magnetismo incontrollabile per le orde di avversari che si apprestano ad affrontarla. Il Pianella è banalmente brutto, senza possibilità di smentita; è freddo, angusto, tetro, non dà sicurezza. Il pubblico che ogni maledetta domenica lo gremisce ti entra nello stomaco come se fosse un pugno: lo senti nei palleggi, lo respiri nei tagli, ti condiziona la parabola dei tiri.

Eppure, è la culla della nostra storia di cugini per nulla concilianti e sempre con il coltello tra i denti. Il giorno in cui finalmente lo abbatteranno, se ne andrà anche un pezzo dell’anima di Varese.
Gianmarco Pozzecco lo sa bene e non ha bisogno di essere imboccato nello sviscerare le emozioni: la conferenza stampa pre-derby, pertanto, nasce e si sviluppa in maniera diversa da tutte le altre. Lui – in quello scatolone –

è stato per anni il nemico pubblico numero uno, ma ha provato anche l’orgoglio di essere acclamato per questo; sulla collina canturina il Poz ha riso e poi pianto, ha preso in giro e subito lo stesso trattamento, è transitato sotto un arcobaleno emotivo cui non è mancato nemmeno un colore. Provi a strappargli un ricordo e vieni prevenuto.
Con il più importante: «Ringrazio Antonello Riva per le parole dette ieri sulla Provincia di Varese – esordisce in sala stampa – e condivido pienamente il suo pensiero: quella maglia di Ravaglia, portata insieme in mezzo al parquet, rimane l’immagine-derby più significativa anche per me. E penso che per i due ambienti sia lo stesso: la scomparsa di Chicco ha cambiato la fisionomia di questa partita». Nella mente fa poi capolino quello striscione, stagione 2007/2008: un saluto al nostro miglior peggior nemico. Impossibile trattenersi nel raccontarlo: «Ci fermammo presso un tabaccaio perché Meo Sacchetti (suo allenatore nell’ultimo anno da giocatore a Capo d’Orlando ndr) aveva finito i sigari. Era il covo dei tifosi canturini. Due salirono sul pullman e mi cercarono: abbiamo una sorpresa per te, dissero. Mai mi sarei aspettato quell’accoglienza».
Sarebbe quasi dolce fermarsi al passato: no, c’è un match di importanza vitale che incombe. Vincere significherebbe iniziare col piede giusto un cammino che deve portare ad una sola destinazione: i playoff; espugnare la “scatola” darebbe, poi, il colpo di grazia a cugini desiderosi di vendetta ma pieni di problemi.

«Gli dei del basket hanno deciso di mettermi alla prova anche stavolta – continua Gianmarco – Senza Diawara cambierà ancora tutto. Ed è un peccato, perché ad Avellino avevamo trovato degli equilibri grazie ai quali abbiamo disputato forse la partita migliore del campionato».
Su Kuba c’è un aneddoto che dà il peso della persona, più che dell’atleta: «Non aveva detto a nessuno del malessere all’occhio. Quando sono andato a trovarlo in ospedale, dopo l’operazione, mi ha confessato che era dalla gara contro Milano che non ci vedeva più bene. Ma era stato zitto, per non essere un problema…».
A livello tecnico, al Pianella si apre – volenti o nolenti – una nuova era: fuori il francese e fuori anche Robinson, sostituito da Maynor. Che succederà? «Sono un po’ preoccupato perché Eric sarà costretto ad esordire in una contesa del genere. In Nba non ha mai giocato partite come queste, forse nemmeno al college: spero di riuscire a trasmettergli i consigli giusti. Su Dawan, nulla da dire: si è dimostrato un grande professionista ed ha pagato per tutti colpe non solo sue, come l’infortunio di Kangur».

Già l’estone: nel palazzetto vuoto di metà pomeriggio, con i compagni ancora nello spogliatoio, l’uomo dagli occhi di ghiaccio si danna a lavorare di fisico come se non ci fosse un domani. Una piccola speranza c’è per lunedì: «Fossero anche 15 secondi, ma io il campo vorrei farglielo assaggiare – afferma il Poz – Devo stare attento, però, perché conosco la sua generosità e va preservato». Facciamo come se non ci fosse: Eyenga, Callahan e Daniel, in tre per due ruoli. Soli, a fronteggiare la massa di Eric Williams and company: «Sotto canestro Cantù ha centimetri e fisico – conclude il coach – e dovremo essere bravi ad arginarla. Ad Avellino l’accoppiata Daniel-Callahan ci ha aperto il campo e mi piacerebbe riproporla, così come la zona. Le altre chiavi del match? Ne ho discusso con Vescovi e non ve le svelo, ma non sarà nulla di trascendentale». A trascendere, in effetti, basta già la didascalia di un qualcosa che non potrà mai essere normale. Come il Pianella.