Pozzecco ha un desiderio «Cimberio, vinci per Bruno»

VARESE Può essere che un posto vuoto in Parterre sia capace di regalare nuove spinte e motivazioni? Possiamo buttare lì un «Vinciamola per Bruno, questa partita»? Secondo noi, sì. Presentare una partita di Varese pensando a un grande amico di Varese, a Bruno Arena, in quello che è il momento più difficile della sua vita, non è retorico e non è nemmeno scontato: è doveroso.

Ieri pomeriggio lo stadio e il Varese si sono stretti attorno a lui in quella partita strana durata solo otto minuti, oggi sarà il turno del palazzetto: quel palazzetto dove Bruno era di casa, quel palazzetto dove Bruno tornerà perché non esiste che si perda questa Cimberio tanto bella. Quel palazzetto in cui Bruno ha vissuto e fatto vivere momenti indimenticabili.

«Io e lui abbiamo un sacco di cose in comune, ma lui rispetto a me ha un vantaggio: viene pagato per fare il pagliaccio». A parlare è Gianmarco Pozzecco, grande amico di Bruno: «Sembrerà strano: ma quando venerdì pomeriggio il Menego mi ha chiamato per dirmi cos’era successo, mi è venuto da ridere. E ancora adesso, nel pensare a lui, non riesco a stare serio: perché mi vengono in mente tutte le risate che mi ha fatto fare, dalla gag della mortadella a dadini fino a quel tormentone. Amici, ahrarara».

Pozzecco era a Varese da pochi mesi, quando una sera…: «Ero a Gallarate con mio fratello per ritirare un premio, e a un certo punto sono usciti lui e Max: io non ho mai riso tanto. Da quel giorno siamo sempre rimasti amici, lui veniva a vedermi giocare e io andavo a seguire le sue serate il mercoledì sera: abbiamo avuto una carriera parallela che adesso si è completata. Perché lui è nato come allenatore e poi è diventato un pagliaccio di professione, io invece ho fatto il pagliaccio e adesso sono diventato un allenatore di basket».

Episodi e ricordi: «L’anno dello scudetto abbiamo raggiunto l’apoteosi. C’era il cane di Zanus Fortes che si chiamava Cipolla, e Bruno si divertiva a chiamarlo in tutti i modi: aglio, pepe, olio. E Zanus diventava matto. E poi le prime serate a Zelig, lui che dava il meglio di sé nei fuorionda quando prendeva in giro la Ventura per la sua storia con Bettarini: perché sul palco non recita, non fa finta e non si mette maschere. Lui è così sempre, e fa ridere in ogni situazione».

E poi, l’episodio che nessuno conosceva. «Io, il pomeriggio prima di giocare una partita ho sempre riposato: sempre, tranne una volta. 11 maggio 1999, le ore prima della sfida decisiva per lo scudetto, gara tre contro la Benetton. Non riuscivo a dormire, allora ho preso la macchina e sono andato al Campus: ho trovato lui e il mitico Raimondo, quel tifoso che si sedeva in Parterre con addosso un maglione rosso fuoco. Abbiamo passato un’ora incredibile, loro due che si sfottevano e Bruno che faceva lo scemo, io che ero per terra dal ridere e la tensione per la partita che piano piano scivolava via. In campo, la sera, avevo la testa leggera: grazie a quel pomeriggio unico».

Bruno, ce la farà: «Ultimamente non gli rispondevo al telefono: lui mi chiamava, io tiravo su e facevo finta di essere in galleria o di avere la linea disturbata. Lo facevo apposta, mi piaceva sentirlo che andava fuori di testa e che mi urlava dall’altra parte del telefono. Adesso lascio passare qualche giorno e lo chiamerò: chissà se anche lui farà il difficile e fingerà qualche interferenza». E il messaggio dell’amico: «Continuo a ridere, perché sono certo che ce la farà: non posso pensare a qualcosa di diverso: fategli leggere queste parole, appena aprirà gli occhi. Per una volta, sarò stato io a farlo ridere».
Francesco Caielli

b.melazzini

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