Lo scorso marzo si era presentato come nuovo presidente del Varese auspicando cori al genoma esplosivo» e una squadra che si muovesse con «movimenti cardanici». La breve esperienza nel calcio di Pierpaolo Cassarà verrà ricordata più per il suo linguaggio pirotecnico che per i risultati ottenuti: nondimeno ci sembra interessante dargli la parola, e ricostruire con lui i pochi mesi in cui è stato alla guida del club biancorosso.
Per senso civico. Le spiego: si presentò da me il direttore generale D’Aniello insieme a Silvio Papini. Con grande enfasi, mi raccontarono la situazione del Varese in tutta la sua gravità, e mi parlarono della necessità immediata di recuperare 170mila euro per evitare ulteriori punti di penalizzazione. Non si parlò neanche della presidenza, non barattai nulla: io faccio le cose solo se mi aggradano.
Non è che mi convinsero, anzi mi parlarono di una situazione debitoria di svariati milioni di euro. Al che pensai: stando così le cose, a cosa servirebbero i miei 170mila euro?
Che sarebbe stato comunque fondamentale, per mille motivi, rimanere in serie B. All’epoca la squadra aveva ancora la possibilità di salvarsi.
Accettai, che ci crediate o no, pensando al Varese e a quello che la squadra rappresenta per la città. Non avevo alcun bisogno di farmi pubblicità, ero già abbastanza conosciuto. Dissi a D’Aniello: vi faccio questo regalo, sotto forma di prestito finanziario infruttifero, senza interessi. Però poi me lo restituite.
No. Ma mi faccia continuare a raccontare la storia.
Quando feci quel prestito, pensai che altri imprenditori e professionisti mi avrebbero seguito. Devo dire che molti amici sul momento mi presero per matto, mi dissero «ma chi te l’ha fatto fare?». Io però ero davvero fiducioso che altri potessero aggregarsi e seguire l’esempio.
Che, una volta entrato in gioco, cominciai a chiedere chiarimenti alla dirigenza.
Innanzitutto su quella che doveva essere la prima fonte di richiamo per eventuali altri investitori. Parlo del nuovo fantomatico stadio alle Fontanelle.
Perché ben presto, grazie al lavoro dei miei tecnici di fiducia, verificai che quell’area si trova in una zona agricola sulla quale per legge non si può edificare. Dal punto di vista urbanistico e normativo, il progetto di un nuovo stadio in quell’area nasce già morto.
Ne presi atto. Ma è chiaro che, senza la possibilità di costruire un impianto di proprietà, viene a mancare la prima fonte di richiamo per nuovi investitori: lo stadio garantisce un ritorno economico di svariati milioni, slegato oltretutto dall’aleatorietà dei risultati della squadra.