Pro Patria, retrocessione e addii: fine di un ciclo tra lacrime, rimpianti e incognite

La sconfitta nei playout condanna i biancoblu alla Serie D. Turotti riflette sul futuro, mentre la proprietà guarda al ripescaggio e a una nuova fase societaria.

Il calcio ha sempre il suo modo beffardo di scrivere finali. E spesso sceglie il dettaglio più crudele per chiudere il sipario. Come il primo gol tra i professionisti di Alessandro Romairone — figlio di quel Giancarlo che a Busto ha lasciato un segno — arrivato proprio nella partita che ha sancito la retrocessione della Pro Patria. Un colpo basso per una stagione nata storta e finita peggio, che al “Piola” di Vercelli ha visto certificarsi il ritorno dei tigrotti in Serie D.

Il verdetto è arrivato al termine di 180 minuti che hanno raccontato tutto ciò che non ha funzionato. Perché la Pro Vercelli non era superiore, ma è stata più concreta. Il divario non era tecnico, bensì caratteriale e strutturale. Una squadra mai davvero capace di trasformare in risultati la qualità sulla carta. Un difetto profondo, radicato, rimasto irrisolto fino all’ultimo istante.

Il futuro è un punto interrogativo

Ora, la domanda che circola tra i tifosi e nei corridoi dello “Speroni” è solo una: che ne sarà della Pro Patria? Sul banco non servono capri espiatori, ma la necessità di analisi lucide. Come quella offerta ancora una volta da Sandro Turotti, che ha scelto di metterci la faccia anche nel giorno più duro, caricandosi il peso della disfatta. Una prima retrocessione in carriera, per uno dei pochi punti fermi rimasti nel caos di questa stagione.

Ma il suo futuro è tutto da scrivere. Dopo nove anni alla guida tecnica del club, il DS ha lasciato intendere che la sua avventura bustocca potrebbe concludersi. Non tanto per questioni contrattuali, quanto per le incertezze legate alla governance: la possibile scalata del pacchetto azionario da parte di Finnat Fiduciaria, attualmente al 49%, apre a scenari nuovi. E anche il recente accostamento di Turotti alla panchina dell’Inter “B” (ipotesi ormai sfumata) conferma l’aria di fine ciclo.

Resta l’incognita-ripescaggio

Sul tavolo, però, c’è anche un’altra possibilità: quella di un ritorno immediato in Serie C tramite ripescaggio. Una via percorribile, ma non gratuita. Servono almeno tre rinunce all’iscrizione, una lunga lista di condizioni federali da soddisfare e 300mila euro da versare come quota d’accesso. Una spesa che misura in modo diretto le ambizioni e le disponibilità del futuro assetto societario.

A contendersi i possibili posti disponibili ci sono anche Caldiero, Clodiense, Legnago, Milan Futuro, Sestri Levante e Messina. La Pro Patria sarebbe in buona posizione, ma il destino è appeso a fattori esterni, oltre che alla volontà della proprietà.

Il cuore oltre il risultato

E poi c’è la gente di Busto. Quella che ieri ha riempito il settore ospiti del “Piola” con 428 presenze, uno dei numeri più alti dagli storici playoff di Padova del 2009. È da qui che si può (e si deve) ripartire. Non bastano le parole né le promesse: servirà rispetto per una tifoseria che, anche nel giorno più amaro, ha scelto di esserci.

La Pro Patria è più di una squadra. È un simbolo cittadino, un pezzo identitario di Busto Arsizio. E la sua retrocessione non è solo una questione sportiva. È una ferita da rimarginare in fretta, magari passando per quella cruna dell’ago che si chiama ripescaggio, ma soprattutto ricostruendo una visione e un progetto all’altezza della sua storia.